Dall’ottimismo tecnologico al realismo tecnologico. Ossia virare l’attenzione sulle azioni e i programmi concreti, sulle iniziative che possono davvero contribuire allo sviluppo economico sostenibile, lasciando da parte i progetti “visionari”. Questa una delle riflessioni portate sul tavolo del Forum di Davos 2020 del World Economic Forum. Lo scoccare del nuovo decennio deve fare il paio con la realizzazione di un ecosistema che consenta di mettere a terra progetti che fino ad oggi non sono riusciti a esprimere appieno il loro potenziale. Di quarta rivoluzione industriale si parla ormai da qualche anno, ma in molti Paesi tutto è ancora in embrione mentre siamo già entrati in una nuova fase, quella dell’intelligenza artificiale.
Imprese da un lato, governi dall’altro: così non va, così non può andare. Se non ci si siede tutti attorno allo stesso tavolo, a discutere non tanto del cosa ma del come fare la rivoluzione digitale – quella votata allo sviluppo economico e alla crescita delle società – la rivoluzione digitale ce la potremo scordare, così come il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda Onu 3030. E a raccogliere i frutti resteranno i soliti noti, multinazionali e colossi del calibro di Google e Facebook che pur contribuendo allo sviluppo della società non ne rappresentano i fondamenti economici e sociali. E la rivoluzione digitale ce la potremo scordare soprattutto in un Paese come l’Italia, dove la mancanza di una politica industriale votata allo sviluppo futuro compromette qualsiasi iniziativa lodevole sulla carta.
Il messaggio emerso a Davos è chiaro: è tempo di aggiornare la politica strutturale affinché sia adatta agli obiettivi di un mondo da quarta rivoluzione industriale. E politica strutturale fa rima con riforme del mercato del lavoro, riforme fiscali, reti di sicurezza sociale e investimenti nell’istruzione. Senza tutto ciò non andremo mai lontano, non saliremo mai sul treno del futuro.
La call to action lanciata a Davos