La trasformazione digitale in atto sta cambiando molto rapidamente settori importanti della società: ricerca scientifica, economia, sicurezza, salute, sostenibilità ambientale e tanto altro ancora. È una rivoluzione straordinaria, che si sta svogendo senza il contributo rilevante delle donne che in sempre minor numero scelgono, nel mondo occidentale, professioni scientifiche e che si stanno autoescludendo da questa trasformazione.
Negli Stati Uniti si assiste a un decremento della percentuale di donne che scelgono di studiare discipline Stem; nonostante la crisi economica e la prospettiva di un lavoro ben remunerato, infatti, la quota femminile è scesa di 10 punti percentuali in 20 anni.
In Italia il panorama non è certo migliore; le donne ottengono risultati scolastici migliori dei maschi in tutte le materie, matematica compresa, ma sono solo il 23% degli iscritti nei corsi di laurea in ingegneria e il 33% nei corsi di area scientifica.
A Roma, in Sapienza, tra i corsi di laurea con la minor presenza femminile c’è quello in Ingegneria Informatica e Automatica (13%).
Come si può ben capire, nel quadro della nuova rivoluzione tecnologica, se non si sarà capaci di agire in forte controtendenza, il gender gap economico non farà che aumentare. Eppure soltanto la cultura della diversità e dell’inclusione è capace di generare una crescita più armonica, etica ed equilibrata dello sviluppo sociale ed economico.
Tanto per citare un esempio, la mancanza di diversità, di genere e di etnia, sta creando già problemi negli algoritmi di machine learning, che ripropongono un mondo quasi esclusivamente a misura di maschio bianco. Nel settore dell’Intelligenza Artificiale la presenza femminile è davvero limitata: in colossi come Facebook e Google le donne negli staff di ricerca raggiungono rispettivamente il 15% e il 10% E nel mondo accademico più dell’80% dei Professori in AI sono uomini. All’interno del progetto GenderTime (Transferring, Implementing, Monitoring Equality), realizzato dall’Università di Padova, i ricercatori hanno contribuito a sviluppare un Gender Equality Index, tenendo conto di sette ambiti: work, money, time, knowledge, space, health, power. I risultati dell’applicazione di tale indice rilevano un gender gap a discapito delle donne nel settore “power” del 30%.
Si tratta davvero di una cifra importante che è necessario tentare di contrastare al più presto e questo nell’interesse di tutti.
Qual è la ragione per cui le donne non scelgono questi studi e queste professioni? Cosa le porta a lasciare campo aperto agli uomini?
Sicuramente un ruolo decisivo lo giocano gli stereotipi di genere, e ancor prima il patrimonio profondo culturale ed emotivo acquisito in ambito familiare, unito a quello trasmesso in maniera martellante e pervasiva dai mass media. Sono fattori che condizionano sottilmente scelte e comportamenti, indirizzando le ragazze verso professioni “femminili”, convincendole della loro inferiorità in campo matematico e scientifico, e facendo percepire l’Ict l’ingegneria, le scienze e la matematica come temi prettamente maschili, il che è incredibilmente falso.
Il Dipartimento che dirigo spende molte energie per cercare di motivare e ispirare le ragazze a intraprendere gli studi scientifici. Proprio nei prossimi giorni, il 21 febbraio si terrà, nell’Aula Magna del DIAG Sapienza, un incontro dal titolo “Ingegneri di altro genere”. Per le giovani studentesse sarà l’occasione di ascoltare dalla voce di donne con professioni di prestigio in area Ict, come sia possibile arrivare a vertici molto ambiti, senza rinunciare a essere donna, al contrario a portare in dote alla tecnologia e alla scienza il nostro patrimonio di diversità. Il Convegno sarà moderato da Michela Andreozzi, attrice, autrice e regista attiva su questi temi, proprio con il fine di aggiungere un altro punto di vista, creativo e coinvolgente, su quanto possa essere attrattiva per una donna una carriera in ingegneria informatica.