“Una crisi, con le immani sfide che pone, deve e può generare soluzioni innovative capaci di far fare un salto di qualità a tutto il Paese”. Per questo il telelavoro, accelerato dal coronavirus, “è una di quelle soluzioni che può e dovrebbe diventare stabile, anche dopo che avremo superato questa fase”. Lo scrive su Facebook il vice ministro dell’Economia e delle Finanze, Laura Castelli secondo cui, sull’onda del virus, lo smart working potrebbe renderci “pronti a fare un salto culturale, forse anche nel pubblico impiego, perché telelavoro non è lavorare di meno, ma meglio”. Il lavoro agile oggi permetterà di contenere “i contagi nelle grandi aziende senza fermare la produttività”. Ma domani, rendendolo una forma stabile, “riusciremo ad avere molti benefici per i cittadini lavoratori: risparmi in termini economici, ambientali, miglioramento della qualità della vita”.
Del resto il coronavirus sta imprimendo ovunque una svolta al telelavoro. In Cina, dove è iniziata la malattia e dove le politiche di lavoro a distanza sono storicamente deboli, lo strumento di collaborazione remota Zoom ha visto un aumento del 15% dei download per singolo giorno. Ma è un trend da tempo in fase di affermazione. Il mercato globale della sincronizzazione e condivisione dei file aziendali dovrebbe raggiungere 24,4 miliardi di dollari entro il 2027, rispetto ai 3,4 miliardi del 2018.
Telelavoro, i rischi da evitare
Ma ci sono anche rischi da non sottovalutare. Una soluzione sbagliata può danneggiare le imprese se non affrontano il tema della sicurezza e della privacy dei dati. Per questo serve che le aziende implementino la sincronizzazione sicura dei file e condividere le tecnologie in modo che i dipendenti possano lavorare da casa e al contempo accedere e trasferire i dati in modo sicuro e protetto. Secondo Acronis, specialista della cyberprotection, man mano che un numero crescente di organizzazioni adotta politiche di lavoro da remoto, è necessario che i team IT e i Managed Service Provider che forniscono assistenza alle aziende dovrebbero adottare le soluzioni di sincronizzazione e condivisione dei file.
Si tratta, spiega Acronis, di una tecnologia che consente di condividere file su più dispositivi e con più persone utilizzando la sincronizzazione e archiviando i documenti in un deposito di dati affidabile, mettendo in sicurezza i dati proprietari. Al di fuori della rete aziendale, i dispositivi sono facilmente soggetti agli attacchi di terze parti e di criminali informatici. Attaccare questi endpoint non tutelati può rivelare ai criminali informatici le credenziali di accesso del dipendente, creando così ai medesimi un varco per accedere al sistema delle società o persino per utilizzare il virus informatico per bloccare i dati aziendali. Cosa che è accaduta al servizio NextCloud lo scorso autunno.
L’impatto sulle imprese
“L’emergenza coronavirus è un’occasione per le imprese per testare la loro resilienza organizzativa e l’efficacia degli investimenti fatti sul fronte tecnologico”. Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano e direttore scientifico di P4i, evidenzia come la diffusione del virus può diventare una cartina di tornasole dell’impegno sul fronte innovazione.
“A Milano già si sono rilevate forti differenze tra chi ha investitito in digitale e scommesso di modello organizzativi ‘smart’ dove è l’obiettivo, più che l’orario di lavoro, a fare la differenza e chi invece in questi anni è rimasto al palo – spiega Corso – Nel primo caso l’impatto dell’emergenza sull’operatività è stato quasi nullo mentre nel secondo caso si rischiano effetti negativi sulla business continuity. Anche perché non si può pretendere che, da un momento all’altro, il dipendente lavori da remoto. Non è sufficiente un pc e una connessione Internet. Ci si deve allenare al coordinamento con il datore di lavoro e con un team di riferimento, nel caso si lavori su un progetto a più mani”.
“Cosa ci insegna il coronavirus? – conclude l’esperto – Che l’innovazione non solo va guidata ma anche anticipata laddove possibile”.