L’economia italiana è entrata in una sorta di glaciazione. La pandemia ha prodotto un fenomeno del tutto originale per le economie di mercato, perché ha congelato o molto rallentato la possibilità di avere contatti e scambi. Alcuni settori, come il turismo, sono stati colpiti ad ogni livello perché la crisi impatta tanto sulle strutture alberghiere fisiche che sulle piattaforme digitali di prenotazione o vendita delle stanze. Altri settori del digitale stanno beneficiando della crisi in termini di volumi di contatti e di servizi trasferiti.
Non vi è alcun dubbio che l’impatto della pandemia da Covid19 accelererà l’evoluzione delle organizzazioni produttive verso nuovi modelli più distribuiti e decentrati e più capaci di lavorare in rete. E’ un po’ come scoprire che lo smartphone che usiamo da molti anni può fare almeno il 50% in più delle attività per cui lo usiamo ogni giorno. E questo è un aspetto positivo perché accelererà l’adozione delle nuove tecnologie digitali il che dovrebbe significare miglioramenti non marginali della produttività.
Resta il problema vitale per l’economia italiana, come perfettamente spiegato dal ex Presidente della Bce Mario Draghi con un intervento sul FT, di non far crollare la produzione soprattutto quella delle Pmi. Ancora più importante è far sì che tra gli investimenti che vengono bloccati o rinviati non ci siano quelli in ricerca e sviluppo. Anzi, va stimolato l’investimento innovativo proprio in questa fase nel biotech, nel medicale, nell’ecommerce, nei prodotti e servizi digitali perché è quanto faranno gli altri paesi e gli altri mercati.
Come? Un intervento attivabile in poche ore è già a portata di mano del governo Conte. In maniera sbagliata con l’ultima Legge di bilancio è stato rivisto al ribasso il credito di imposta per le attività di R&D. Il governo Renzi a suo tempo aveva riconosciuto una percentuale pari al 50% delle spese annualmente sostenute che potevano essere compensate a partire dall’anno successivo con le varie imposte dovute dall’impresa. Il governo Conte ha ridotto la stessa percentuale a un misero 12%, uno dei valori più bassi in materia dell’Ue (l’intervento non è nazionale ma discende da una direttiva europea che lascia poi gli stati membri liberi di decidere i dettagli).
Per non interrompere il flusso degli investimenti innovativi basterebbe una banale norma inserita in un decreto legge con il seguente contenuto: per il triennio 2020/2022 la percentuale delle spese sostenute per attività di R&D viene riportata al 50% del loro importo totale; tale importo è compensabile anche in corso d’anno a condizione che trimestralmente venga certificato da un terzo specialista; per le imprese con un fatturato annuo inferiore ai 100 milioni di euro che investono nei settori ritenuti core per la ricostruzione dell’economia, come il biotech o il digitale, la stessa percentuale è elevata al 90% per lo stesso periodo.
Se poi si volesse gettare il cuore oltre l’ostacolo si potrebbe fare quanto viene fatto da anni con successo nel Regno Unito trasformando il credito di imposta in un grant, cioè in un pagamento cash da parte dell’Agenzia delle Entrate in favore delle Pmi.