Dopo un mese e mezzo di lockdown, molte imprese italiane giustamente scalpitano per l’avvio della cosiddetta Fase 2 dell’emergenza Coronavirus: un periodo di tempo non ancora quantificabile in cui smart working e telelavoro – nei settori in cui sia possibile – diverranno i fondamenti per garantire il distanziamento sociale durante la ripartenza produttiva del Paese. A differenza di quanto accaduto con l’introduzione delle prime restrizioni a fine febbraio, però, si dovrà organizzare questo passaggio con un approccio non più tattico, ma strategico, strutturato, che abbia come finalità l’efficienza, la resilienza e la sicurezza dei processi portati fuori dai tradizionali perimetri aziendali.
“Il ricorso allo smart woking della prima ora è stato caratterizzato da una corsa alle Vpn e a TeamViewer, e da un acquisto ‘matto e disperatissimo’ di laptop e smartphone per mettere i lavoratori in condizione di operare anche da casa nel più breve tempo possibile”, commenta Mirko Leanza, Senior It Specialist di Teleconsys, Pmi innovativa specializzata nella fornitura di soluzioni e di consulenza per la digitalizzazione delle imprese e della Pa.
Leanza ha toccato con mano le esigenze di molte organizzazioni in uno dei momenti più traumatici del loro processo di trasformazione. Tra queste, alcune sono state prese alla sprovvista dal cambio di paradigma dell’operatività richiesto, altre hanno saputo reagire in modo più efficace. “Al netto del fatto che per tutti l’emergenza coronavirus ha comportato un’accelerazione – in qualche caso un’anticipazione – di progetti già presenti in roadmap, la differenza tra un caso e l’altro, sostanzialmente, è stata determinata dall’infrastruttura digitale su cui poggia l’azienda”. Per Leanza, infatti, quello dello smart working è un tema da tempo sulle scrivanie dei decisori di business. “Ora però non c’è più modo di rimandare. E se le aziende vogliono affrontare il nuovo scenario – l’evoluzione dell’emergenza da acuta a cronica, per un lungo periodo di tempo – devono trasformare gli strumenti a disposizione dei dipendenti agendo proprio a livello infrastrutturale”.
La necessità di un’infrastruttura flessibile
“Non esiste una soluzione di mercato che vada per tutti”, precisa Leanza. “Serve un’ottica di progettualità se si vogliono verticalizzare correttamente blue print, use case, e step per il processo di personalizzazione dei sistemi con tempi di implementazione abbastanza certi. Teleconsys, per esempio, è in grado di stimare la durata di un progetto in base al livello di maturità digitale di un’azienda, facendo leva su tecnologie one-click-operation che permettono ai clienti di attivare i nuovi ambienti non in settimane, ma in giorni. Merito anche di un approccio agile nell’ambito dello sviluppo e della system integration infrastrutturale”. Secondo Leanza, grazie alla realizzazione di infrastrutture iperconvergenti e all’adozione di modelli distributivi SaaS (Software as a service) è possibile adottare anche soluzioni di sicurezza che possono entrare in produzione in tempo zero, dando visibilità immediata agli amministratori di sistema su ciascuna operazione e offrendo alle imprese tutto ciò che serve per prepararsi a nuovi sprint, quando si manifesterà l’esigenza di integrazioni e upgrade.
Parola d’ordine: digital workplace sicuro
Quello della sicurezza è, per ovvie ragioni, il tema forse più rilevante in questa situazione. “Ci aspettiamo un’accelerazione rispetto alle richieste di attivazione di digital workplace con un approccio più moderno alla cyber security”, conferma Leanza. “I nuovi paradigmi di riferimento sono quelli individuati da Gartner nei sistemi ‘Secure access service edge’: in parole semplici, la sicurezza non è più qualcosa che possa essere gestita all’interno dell’azienda in un contesto che è sempre più liquido e mobile. Tutto il mondo, potenzialmente, è una filiale dell’impresa, un punto autonomo che si collega al quartier generale per la gestione dei dati che raccoglie e utilizza. Occorre per questo un approccio decentralizzato, in base al quale la sicurezza non seguirà più l’azienda ma si adatterà alle esigenze di ciascun singolo lavoratore e a quelle di chi tratta le informazioni”. Diventa in questo senso imperativa la scelta di un’infrastruttura ibrida, scalabile, pronta da implementare in poco tempo grazie al cloud.
L’importanza di mappare i processi aziendali
La tecnologia però non è tutto. È fondamentale avere chiaro, prima di intraprendere qualsiasi percorso di trasformazione, quali sono i processi interni e come funzionano i workflow, individuando i dataset essenziali per lo svolgimento del business e gli stakeholder a cui è indirizzato il progetto, stabilendo fin da subito competenze e responsabilità. “I responsabili dei sistemi informativi devono essere affiancati dai c level per dare la giusta velocità di reazione all’intera organizzazione”, rimarca Leanza. “Per esempio, rispetto a un progetto di smart working è necessario coinvolgere l’ufficio Hr, prevedendo fin dall’inizio, all’interno della nuova infrastruttura, anche una componente applicativa, sulla quale poi lavoreranno le risorse che svilupperanno applicazioni e interfacce”.
Da questo punto di vista, l’esperto di Teleconsys sostiene che le aziende italiane sono nel complesso abbastanza mature, grazie soprattutto alle nuove catene di comando che includono responsabili dell’innovazione e Chief Information Security Officer. “Ma nel momento in cui in azienda manca visibilità su processi e ruoli, tocca ai partner fornire supporto per realizzarne una mappatura accurata, riportando le best practice del mercato e integrando lo status quo con funzioni che possono migliorarne le performance. In un mondo in cui si fa imperativo il concetto di Hybrid everywhere”, chiosa Leanza, “i system integrator diventano architetti di processi, oltre che di soluzioni tecnologiche: veri e propri consulenti che aiutano a orientare il digital journey previsto dalla strategia aziendale facendo leva su competenze trasversali e di tipo full stack e mettendo in moto un circolo virtuoso sotto il profilo del continual improvement process”.