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Fase 2 senza data tracing, che fine ha fatto Immuni?

Nessun cenno alla app nel discorso di Conte agli italiani. Il braccio di ferro nel governo sulla questione dell’obbligatorietà e sulla protezione delle info sta rallentando l’avvio del progetto. La ministra Pisano prova a sbloccare l’impasse: privacy “decentralizzata” sul modello Apple-Google

Pubblicato il 27 Apr 2020

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Doveva essere uno dei pilastri della Fase 2 per identificare eventuali nuovi focolai di Covid-19 e tracciare i contagiati. Ma l’app Immuni è praticamente scomparsa di radar al punto che ieri il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, non ne ha nemmeno fatto cenno nel suo discorso agli italiani sulla ripartenza del 4 maggio. Quasi a voler annunciare, in quel non detto, che il progetto made in Italy di tracing è al palo.

A pesare sulla messa in opera soprattutto le questioni legate alla privacy e all’obbligatorietà dell’utilizzo di Immuni che stanno provocando maretta nel governo. La scorsa settimana Conte alle Camere aveva rassicurato sul fatto che scaricarla non sarebbe stato obbligatorio ma l’annuncio si andava però a scontrare con la necessità che l’applicazione fosse in uso ad almeno il 70% della popolazione per essere efficace. Di qui il braccio di ferro nell’esecutivo governo tra chi la vorrebbe obbligatoria e chi, invece, preferisce un’azione di moral suasion per convincere gli italiani.

Il secondo motivo di stallo è legato alla questione privacy. Il dibattito riguarda l’identificazione del soggetto che raccoglierà i dati, la garanzia che questi vengano utilizzati solo per i fini per i quali sono stati raccolti e che siano assicurati adeguati meccanismi di sicurezza per evitare la diffusione e l’accesso non autorizzato alle info.  In deroga al divieto di trattamento dei dati sanitari, così come normato dal Gdpr, “per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero o la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza dell’assistenza sanitaria”. In questo senso il governo avrebbe intenzione di coinvolgere il Parlamento in vista di una legge ad hoc. Il che richiede tempi tecnici che difficilmente si potranno accelerare.

Da punto di vista tecnologico la ministra dell’Innovazione, Paola Pisano, ha fatto sapere che verrà seguito, per la protezione dei dati, il modello decentralizzato ovvero quello scelto da Apple e Google che stanno lavorando in collaborazione su questo fronte. Nel modello decentralizzato nessuno conosce i contatti di tutti gli utenti, ma ciascun utente conosce i propri. Quando un utente risulta positivo, un suo identificativo anonimo viene reso pubblico – previo consenso dell’interessato – di modo che gli altri utenti possano verificare se sono entrati in contatto con il contagiato, senza però sapere di chi si tratta.

Il faro è puntato anche sull’efficacia della app. Basta un software da solo per contenere il contagi? Ovviamente no. Secondo il Garante della Privacy, Antonello Soro, se il progetto di tracing non è associato a un piano di screening il flop sarà assicurato. “Se non si fanno i tamponi immediatamente dopo aver individuato gli infetti, la app è inutile”, avverte.

Una semplice app non può dunque dare conto dell’andamento del virus: deve essere affiancata  dal tracciamento tradizionale che consiste nel sottoporre a un interrogatorio le persone malate ed effettuare più tamponi e test sierologici. Anche nei casi in cui le app hanno avuto successo – Corea del Sud e Singapore – i programmi di data tracing sono stati supportati da un sistema di controllo tradizionale su vasta scala.

Come evidenziato da Jason Bay che ha sviluppato il software per il governo di Singapore, “un sistema di tracing tramite bluetooth, da solo, è inefficace: deve essere integrato con il lavoro di indagine del personale sanitario sul campo”.

Non è un caso dunque che Il Dipartimento per la Trasformazione Digitale e la task force italiana per l’utilizzo dei dati contro l’emergenza Covid-19 abbiano deciso di supportare l’unità di Epidemiologia dell’Istituto di Tecnologie Biomediche del Cnr su un’indagine epidemiologica nazionale sull’infezione da Covid-19 (EPICOVID-19).

L’indagine ha lo scopo di raccogliere informazioni utili per stimare il numero di possibili infezioni da Covid-19 nella popolazione generale e determinare le possibili condizioni associate. I risultati ottenuti da questa ricerca potranno fornire un contributo immediato per la definizione di programmi di sorveglianza e intervento da parte delle autorità sanitarie.

“La task force stessa – spiega la ministra Pisano – è nata sulla convinzione che l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione possono dare un contributo significativo attraverso la raccolta e l’analisi di dati per l’adozione di tutte le misure necessarie a fronteggiare la crisi in atto e questo questionario è importante per contribuire alla lotta contro questo virus”.

Come funziona la app Immuni

L’app realizzata dalla milanese Bending Spoons attiva il data tracing grazie alla tecnologia Bluetooth e mette a disposizione anche un diario clinico in cui l’utente può inserire info sul suo stato di salute. I dati sono conservati sul dispositivo dell’utente, a cui viene assegnato un codice che viene poi scambiato con i dispositivi vicini tramite il BLE- Bluetooth Low Energy. Se un utente risulta positivo al Covid-19 potrà dare il consenso all’utilizzo dei suoi dati, in modo da rintracciare tutti i contatti avuti e ricostruire la cronologia dei suoi movimenti. Tramite un algoritmo, viene valutato il rischio contagio e stilato un elenco di utenti da avvertire tramite smartphone L’alert arriverà agli utenti dalle autorità sanitarie e chiederà di seguire un preciso protocollo. L’utente che ha scaricato l’applicazione e ricevuto la comunicazione di essere entrato in contatto con un positivo al Coronavirus, dovrà rispettare l’isolamento a casa. Se non lo farà, rischierà di essere denunciato penalmente per epidemia colposa, come già avviene per chi vìola la quarantena.

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