I risultati della prima mappatura completa della filiera dei programmatic ads in tutto il mondo presenta risultati sorprendenti. Infatti, secondo lo studio metà dei soldi che le aziende investono in pubblicità online non arriva a destinazione e si disperde invece nella catena dei fornitori. E del 15% almeno non si riesce neanche a capire a chi vengano attribuiti. Lo studio è stato pubblicato dal centro di ricerca Isba, finanziato dagli investitori in pubblicità, insieme alla Association of Online Publishers (Aop) e condotto da PwC.
Secondo gli estensori dello studio questa situazione dovrà portare inevitabilmente a una riforma del complesso ecosistema della pubblicità programmatica a cui manca ancora trasparenza e “non serve i principali interessi degli investitori o degli editori”.
Lo studio si è basato sui dati raccolti in Gran Bretagna da quindici marchi, inclusi British Airways, Bt, Tesco e Unilever, oltre a otto agenzie pubblicitarie, cinque piattaforme lato della domanda, sei piattaforme dal lato dell’offerta e dodici editori, che rappresentano all’incirca 100 milioni di sterline di spesa totale in programmatic per il Regno Unito. Nel rapporto è indicato che la possibilità di partecipare era stata offerta a tutti i tremila membri di Isba, ma che solo 15 marchi hanno scelto di partecipare.
Lo studio ha scoperto che gli editori ricevono approssimativamente la metà di quello che viene speso dagli inserzionisti. Di questo 51% lo studio ne attribuisce il 35% ai fornitori incluse le agenzie, le piattaforme dal lato della domanda, i fornitori di tecnologia e le piattaforme dal lato dell’offerta. Il restante 15% viene speso in maniera non attribuibile a nessun soggetto ed è pari a circa un terzo del costo della catena dei fornitori. Tuttavia, dato che lo studio analizza solamente i modelli di pubblicità programmatiche rese pubbliche, questo è uno scenario che viene considerato ottimista. Infatti, nella coda lunga del mercato degli editori e degli ad tech è probabile, secondo gli autori del rapporto, che la percentuale sia molto più alta.
In un esperimento condotto tempo addietro dal quotidiano britannico Guardian, che aveva fatto alcuni investimenti in pubblicità sulle sue stesse pagine online, è risultato che nel caso peggiore aveva ricevuto meno del 30% dei soldi investiti, mentre tutto il resto si era perso lungo la filiera.
Tornando alla ricerca fatta da Isba, ci sono voluti più di nove mesi per recuperare tutti i dati dai vari attori tecnologici della filiera, mostrando anche, sostiene la ricerca, la mancanza di organizzazione e la complessità del settore. «Gli inserzionisti e gli editori – ha detto Sam Tomlinson, partner di PwC – vogliono condividere i loro dati. Le parti che stanno nel mezzo dovrebbe facilitare questa cosa. Quando finalmente abbiamo ottenuto i dati, questi erano formattati molto male, spesso inconsistenti, non abbastanza granulari. L’accesso ai dati e la loro formattazione è alla base del problema del funzionamento del settore». Isba ha detto che vuole organizzare “il prima possibile” una task force composta da rappresentanti di tutti gli attori presenti sul mercato per studiare delle soluzioni.