L'INTERVISTA

Fake news, Nicita: “Cruciale collaborazione Agcom-social network”

Il commissario: “Bisogna lavorare non tanto sul de-platforming, la cui decisione sta alle piattaforme in base ai loro codici, quanto sulla trasparenza e consapevolezza dell’utente”

Pubblicato il 22 Mag 2020

nicita

L’emergenza sanitaria non frena le fake news. Stando ai dati dell’ultimo Osservatorio Agcom sulla disinformazione online, in Italia l’attenzione attribuita dalle fonti di disinformazione al coronavirus rimane elevata e rappresenta il 37% del totale. Numeri che fanno riflettere anche sul ruolo che i social network possono giocare nella diffusione di una corretta informazione data. Su impulso di Agcom, Facebook insieme a Pagella Politica ha lanciato “Facta”: non un sito di fact checking journalism ma di un servizio vero e proprio. C’è un numero WhatsApp, +39 345 6022504, a cui chiunque può segnalare – con un semplice messaggio di testo ma, anche, utilizzando link, foto, video o audio – notizie riguardanti la pandemia da Covid-19 dalla dubbia natura e che hanno bisogno di essere verificate. Di come le fake news stanno dilagando e di come la collaborazione tra istituzioni e social network può rappresentare una svolta nella lotta alla disinformazione ne parliamo con il commissario Agcom, Antonio Nicita.

Stando ai numeri dell’Osservatorio Agcom le fake news non mollano la presa. Come si sta muovendo l’Autorità?

Precisiamo che Agcom si occupa tradizionalmente della promozione e tutela dell’informazione corretta, plurale e rispettosa della dignità della persona, sui media tradizionali come radio e tv. Temi sui quali ha espliciti doveri derivanti dalla regolamentazione, anche di derivazione europea. Cito, ad esempio, alcuni recenti procedimenti sanzionatori contro Rai e Rete4, ma anche, in tema di corretta informazione epidemiologica e di profilassi per il Covid19, alcuni richiami ad alcune trasmissioni di Canale5 e La7, nonché alla sospensione di trasmissioni che uniscono informazione medica non corretta a commercializzazione di prodotti di asserita efficacia sanitaria, anche in riferimento alla prevenzione del nuovo coronavirus. E’ importante ricordare questi interventi perché il tema dell’informazione corretta riguarda entrambi i mondi dell’offline e dell’online, specie quando i media mainstream finiscono per imitare, magari a fini di audience, gli esempi peggiori del mondo online. Sulla disinformazione online, invece, le Autorità, non solo italiane, non hanno poteri di regolazione. Il campo che stiamo sperimentando, con diverse difficoltà ed evoluzioni, è quello dell’autoregolamentazione e dello studio empirico. Il tema non è quello di intervenire sui contenuti ma sulla trasparenza, sulla consapevolezza, sull’autonomia di giudizio e sulla capacità critica degli utenti del web.

Si parla molto di disinformazione online, ma cosa si intende precisamente?

Il punto vero da comprendere è che la disinformazione non è la semplice notizia falsa o l’errore in buona fede, ma l’esito di strategie intenzionali, ben organizzate e remunerate, che perseguono finalità commerciali o (geo)politiche confezionando quotidianamente notizie false e orchestrandone la loro diffusione virale. Guardando alla disinformazione online, l’Autorità italiana è stata tra le prime, a livello europeo, a lanciare già nel 2015 il tema dello studio e della misurazione di un fenomeno, da alcuni definito paradigmatico con il termine ‘post-verità’, che sembra interessare ontologicamente la società digitale. Recenti rapporti della Commissione europea danno evidenza della natura geo-politica della disinformazione in tema di Covid19: c’è un preciso disegno organizzativo di precise aree politiche estremiste, il cui fine, evidentemente, è quello di sfruttare la paura, alimentare la sfiducia nelle istituzioni democratiche, anche se a farne le spese è poi la salute dei cittadini, sia nella profilassi che nei comportamenti individuali e sociali di prevenzione. In un certo senso, questa emergenza sanitaria ha definitivamente chiarito e confermato i timori e i sospetti di molti studiosi. Sotto l’egida della libertà d’informazione si cela spesso il suo contrario, il parlare alla pancia delle persone perché smettano di usare la testa, anche quando si parla della loro salute.

Che tipo azioni si possono mettere in campo per affrontare il problema?

Ci sono tre grandi spazi di azione. Innanzitutto, dal lato dell’offerta di notizie corrette, appare necessario rendere disponibili al grande pubblico fonti informative di qualità e trasparenza nelle fonti e nei meccanismi algoritmici di selezione delle informazioni. Credo che alcuni messaggi importanti in questo senso potranno pervenire dalla task force operata dal Sottosegretario Martella. I media tradizionali devono poi rinunciare a rincorrere le notizie false che corrono sul web, perché anche se con le migliori intenzioni, finiscono in ogni caso per offrire una piattaforma e meccanismi di conferma. Da questo punto di vista, va accolta con favore la decisione Rai di predisporre finalmente un punto focale, affidato al giornalista Di Bella, di contrasto alla disinformazione relativa al coronavirus, seguendo una serie di obblighi che stanno nel contratto di servizio e che Agcom ha richiamato in varie occasioni. Un secondo aspetto è agire sulla trasparenza da parte delle grandi piattaforme. Qui c’è molto lavoro da fare per fornire all’utente un frame leggibile in relazione alle fonti informative che riceve. Infine, c’è il tema di come far evolvere l’autoregolazione con meccanismi più incisivi e trasparenti in merito alle decisioni assunte dalle piattaforme. Agcom ha proposto, con Antitrust e Privacy, di poter dotare le autorità di poteri di inspection e audit, concentrandosi non sui contenuti ma sulle modalità di funzionamento degli algoritmi. In Italia registriamo una collaborazione crescente da parte di Google e Facebook. Solo recentemente si sta avviando un dialogo con Twitter. Il punto non è tanto il de-platforming, la cui decisione sta alle piattaforme in base ai loro codici, quanto la trasparenza e la consapevolezza dell’utente.

I social sono certamente un amplificatore delle fake news ma possono giocare anche un ruolo attivo nella loro eliminazione, grazie a tecnologie come AI e big data. Come possono agire?

Cass Sunstein ci ha spiegato da tempo che l’algoritmo che genera echo chamber e confirmation bias può anche trovare la soluzione a molti problemi. Bisogna agire, come dicevo, sulla trasparenza delle fonti, sulla prevenzione di notizie provenienti da siti riconosciuti come produttori unicamente di fake news, ma anche sulla scelta dell’utente del grado di selezione delle notizie che riceve e magari sulla scelta di meccanismi di alert in relazione alle notizie che si sono ricevute. Ad esempio, se io potessi scegliere di dire alla piattaforma “mandami gli aggiornamenti che hai, magari a seguito del lavoro dei fact-checkers, sull’affidabilità di notizie che ho ricevuto”, forse potremmo fare progressi sulla strada della consapevolezza degli utenti, stimolando la capacità critica. Altro tema rilevante è quello dell’uso dei bot. Se Facebook ha da tempo annunciato una politica di rimozione, altre piattaforme sono molto indietro. Dobbiamo poi essere consapevoli che ci sono tante piattaforme, alcune delle quali del tutto disinteressate a confrontarsi con i regolatori nazionali, che non a caso sono tra i principali collettori di gruppi estremisti e di strateghi della disinformazione. E’ un percorso molto difficile, ma non di meno si possono sperimentare buone pratiche, come quella che Facebook ha proposto al tavolo Agcom sul contrasto alla disinformazione sul Covid con la collaborazione WhatsApp e Pagella Politica che prende il nome di Facta.

Come giudica questo progetto?

E’ un esperimento unico, svolto in Italia per la prima volta a livello mondiale. Per apprezzarne il risultato dobbiamo misurarne gli effetti dopo questo periodo di prova e magari proporre miglioramenti, ove necessario. Ciò che l’Autorità ha giudicato estremamente positivo e incoraggiante è la circostanza che questo progetto si basi sull’empowerment, sull’attivismo dell’utente in una piattaforma social. In sostanza un utente che riceve un’informazione o un contenuto dedicato alla tematica Covid-19 potrà inoltrarlo, nel rispetto della privacy, per una verifica al numero WhatsApp dedicato: il fact checker invierà una notifica all’utente che ha trasmesso la richiesta e, in caso si tratti di una notizia falsa, pubblicherà il risultato dell’analisi sul sito web. Facta, inoltre, aggiornerà costantemente la piattaforma WhatsApp sulle informazioni verificate sul Covid-19 e, agli utenti che lo richiederanno, invierà un messaggio sul resoconto giornaliero delle analisi effettuate e pubblicate sul sito. Questo progetto pilota potrebbe rappresentare una best practice in quanto l’iniziativa sull’approfondimento della veridicità di una notizia o di un contenuto, avviene in modalità volontaria e rispettosa delle garanzie di libertà di accesso alle informazioni e ai contenuti da parte degli utenti.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati