LA PROPOSTA

Ripartenza, Jourová: “Una digital tax per finanziare l’istruzione”

Secondo la commissaria Ue ai Valori e alla Trasparenza i proventi della misura fiscale dovrebbero essere investiti nella scuola e nella formazione: “I nostri sistemi non sono abbastanza resilienti, servono più risorse”

Pubblicato il 04 Giu 2020

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Una digital tax per sostenere gli investimenti nell’istruzione. A rilanciare sulla necessità di una tassazione equa per le big tech è la la vicepresidente della Commissione Ue ai Valori e alla Trasparenza, Věra Jourová. “Abbiamo bisogno di un’imposta digitale equa – ha spiegato la commissaria – In particolare parte dei proventi dovrebbero essere investiti nell’istruzione perché le nostre società non sono abbastanza resilienti”.

L’emergenza sanitaria determinata dalla pandemia da Covid-19 ha ricompattato il fronte dei Paesi europei favorevoli a una tassazione delle big tech anche se si è lontani ancora da una strategia comune.

La Francia, l’Italia e l’Austria sono i paesi Ue in prima linea nel sostenere la necessità della web tax e hanno già implementato delle norme a livello nazionale. L’Ue nel suo insieme non è invece riuscita a trovare un  compromesso tra posizioni divergenti, con Irlanda, Svezia, Danimarca e Finlandia che hanno detto no alla digital tax finché non ci sarà una decisione su scala internazionale in ambito Ocse che armonizzi la tassazione a livello globale.

Ecco perché la Commissione europea ha deciso di perseguire la soluzione “internazionale” cercando un accordo all’interno dell’Ocse entro la fine dell’anno. Ma se questo accordo non arriverà, Bruxelles si è detta pronta mettere a punto una digital tax europea.

Le parole della Jourova sembrano dimostrare le volontà di proseguire sulla via della riforma fiscale nonostante le mosse degli Stati Uniti.

Lo United States Trade Representative (Ustr) della Casa Bianca, Robert Lighthizer, ha annunciato l’avvio delle indagini sulle imposte sui servizi digitali adottate o anche solo prese in considerazione dai partner commerciali statunitensi. L’inchiesta sarà condotta ai sensi della sezione 301 della legge commerciale del 1974.

La norma conferisce all’Ustr ampi poteri di indagine sulle decisioni di un Paese straniero se queste possono essere ingiuste o discriminatoria e dunque influire negativamente sul commercio degli Stati Uniti.

“Il presidente Trump è preoccupato per il fatto che molti dei nostri partner commerciali stanno adottando regimi fiscali progettati per colpire ingiustamente le nostre società – ha spiegato Lighthizer – Siamo pronti ad adottare tutte le misure appropriate per difendere le nostre imprese e i nostri lavoratori da tali discriminazioni”.

Nei mesi scorsi il presidente Trump è arrivato a minacciare dazi nei confronti di quei Paesi che hanno adottato web tax o misure similari.

L’Ocse ha di recente pubblicato un report sull’impatto che la digital tax potrebbe avere sulla riprsa economica post Covid-19.

Nel report “Tax and Fiscal Policy in Response to the Coronavirus Crisis” l’Ocse evidenzia come in questa situazione critica, sanitaria e non solo, diventa cruciale rispondere in maniera efficace alla sfide poste dalla digitalizzazione e garantire misure per la tassazione minima delle big tech. Secondo l’Ocse il forte impulso all’utilizzo di servizi a piattaforme digitali – basti pensare alla diffusione dello smart working e della scula digitale – possono rappresentare un nuovo stimolo a cercare un accordo a livello internazionale sula web tax.

“La concentrazione del lavoro sulle aziende con alti livelli di redditività dovrebbe facilitare la raccolta di entrate senza incidere negativamente sulla ripresa delle aziende che hanno sofferto maggiormente a causa della crisi”, si legge nel report. Ecco perché la politica dovrebbe operare per “evitare i rischi di un’azione unilaterale nel settore della tassazione digitale”, evitando così il pericolo “di una guerra commerciale internazionale che si potrebbe scatenare senza il raggiungimento di un accordo globale sulla tassazione digitale”.

Dopo la crisi molti governi saranno chiamati a mettere in campo misure fiscali difficili, motivo per cui – prevede l’Ocse – aumenterà il  numero di Paesi che chiederà la web tax. Non solo per aumentare le entrate fiscale ma anche er evitare disparità tra le imprese “tradizionali” – Pmi soprattutto – e le multinazionali che operano sul web.

Infine il documento sottolinea che nella fase 2 sarà necessario mettere in campo una politica fiscale espansiva per un lungo periodo con l’obiettivo di stimolare i consumi delle famiglie e gli investimenti delle imprese.

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