Stefano Venturi, Ad di Cisco Italia: “La crisi è bella”

“È l’ora di cogliere l’opportunità di cambiamento offerta dalla recessione”. Così Stefano Venturi, Ad di Cisco Italia che ha le idee chiare. “Per noi questa crisi è un’opportunità, un treno da prendere per rimodernare e svecchiare questo Paese”. 

Pubblicato il 08 Giu 2009

Stefano Venturi, amministratore delegato di Cisco Italia, ha le
idee chiare. “Per noi questa crisi è un’opportunità, un treno
da prendere per rimodernare e svecchiare questo Paese”. Un
rimordenamento che passa anche per un ruolo più ampio da parte
dell’industria IT e che deve necessariamente tradursi in una
maggior efficienza e in una maggior produttività a livello di
sistema Paese. Un cambiamento che richiede grandi sforzi sia da
parte dello Stato sia da parte dei cittadini per cambiare
mentalità e schemi con cui tutti si confrontano ogni giorno.

Cambi di mentalità di questo tipo, tuttavia, si scontrano sempre
con una grandissima inerzia e spesso sembra che i paradigmi
lavorativi siano sempre gli stessi, paludati e immutabili. Cosa si
può fare per favorire il cambiamento?

Io sono arrabbiatissimo. Abbiamo le tecnologie per lanciare il
telelavoro a un costo incrementale prossimo allo zero, ci siamo
trasformati da Paese di colletti blu a colletti bianchi, eppure
dagli anni ‘50 non è cambiato niente e ogni mattina ci sono
milioni di persone che vanno in ufficio solo per muovere
informazioni. I nemici dell’innovazione sono quelli che pensano
in modo binario e replicano che “non possono mica tutti lavorare
da casa”; eppure già togliere il 10-20% di persone dagli uffici
sarebbe come togliere il traffico da una strada. Come Paese abbiamo
un’opportunità che è anche una responsabilità: approfittare di
questa discontinuità per adottare le tecnologie per iniziare a
cambiare. In Cisco da anni abbiamo dato la possibilità di lavorare
da casa. Anzi, siamo andati oltre: abbiamo meno scrivanie del
numero dei nostri dipendenti. Così, oltre a far felici loro e a
migliorare la qualità della loro vita senza perdere nulla a
livello di produttività, come azienda risparmiamo anche:
riscaldamento, energia… .

Se il settore privato sembra ancora restio ad accettare questo
nuovo modello, legato com’è ancora alla presenza fisica del
dipendente sul luogo di lavoro, i propositi lanciati dalla pubblica
amministrazione potrebbero fare da volano al cambiamento. Come vede
in questo senso i piani del governo?

Io credo che in questo momento la PA si trovi ad avere una grande
responsabilità: ha la possibilità per la prima volta dopo anni di
guidare una transizione importante, una trasformazione del Paese.
Il piano eGov 2012 è un obiettivo visionario. Anche scendendo a
livello di direttori generali, di quadri, nella PA molti sono
entusiasti di questo piano. È arrivato il momento per grandi
aziende e provider di schierarsi a fianco del governo e accelerare
questa cosa: eventuali investimenti ingenti e cambiamento culturale
passano anche per noi, che possiamo creare dei servizi chiavi in
mano per permettere all’amministrazione di procedere
velocemente.

Una PA totalmente digitale richiederebbe Internet come servizio
universale. Invece in Italia il digital divide è ancora un
handicap e le statistiche non sono lusinghiere. Qualcosa sembra
muoversi col Piano Caio. Qual è la ricetta da
seguire?

È vero che in questo Paese il problema di chi non accede alla
banda larga è molto più ampio di ciò che si dice e in più tante
zone sono zone ricche, con industrie e attività importanti.
Bisogna agire a livello Paese, perché questa è un’esigenza
primaria e come tale va affrontata. E non si può pensare di
risolvere tutto col wireless, ma ciò che ci serve veramente è la
fibra. E possibilmente deve essere fibra punto a punto, dalla
centrale all’abitazione, come ha fatto Free a Parigi: fibra di
qualità, fibra bidirezionale. Vivian Reding in un convegno in
Bocconi aveva già sottolineato anni fa come i cittadini europei
debbano contribuire al know how mondiale sulla rete come gli altri
paesi: la sua ricetta prevedeva appunto reti bidirezionali, non
asimmetriche, che permettano non solo di ricevere, ma anche di
esportare verso il mondo i propri dati a grandi velocità.

Un mondo in cui la crisi sta mettendo anche il mondo dell’IT
sotto pressione. I Cio si trovano a dover affrontare ogni giorno le
richieste del management e a dover fornire risposte a fronte di
budget sempre più esigui.

Sicuramente questo momento spinge il manager IT ad avere uno dei
ruoli più importanti nelle aziende per preparare il rilancio.
Certo, se andiamo a vedere i budget ci sono delle aree di
risparmio, ma in mano hanno un’opportunità enorme: quella di
rivedere le architetture dell’IT, del data center… Di come
distribuiscono le applicazioni e i servizi all’interno
dell’azienda sfruttando le tecnologie che si sono formate in
questi anni e che ancora non sono state usate perché finora si è
proseguito – giustamente – con una certa inerzia. Questa crisi sta
dando una forte discontinuità e se ne può approfittare, e
ridisegnare le architetture interne, può mettere in campo risparmi
molto importanti, più che quelli che si ottengono tagliando un
po’ i fornitori o con misure analoghe. C’è però una cosa in
più: il grosso valore aggiunto sarebbe se il manager IT
ridisegnasse i modelli di iterazione in azienda. L’IT ha sotto ai
suoi occhi tutti i processi di iterazione delle aziende, sia quelli
interni che quelli esterni. Se il manager capisce il business
dell’azienda, se non viene tenuto come un di cui della parte
amministrativa, o peggio ancora visto soltanto come un costo, ecco
che allora con un migliore utilizzo delle tecnologie è possibile
rendere molto più efficienti le iterazioni interne ed esterne,
ottimizzando infinitamente il lavoro.

Parte di questa ottimizzazione passa anche per
l’esternalizzazione di certe funzioni. Si parla sempre più
spesso di Cloud, i numeri a riguardo sono in crescita e tutti
concordano che il prossimo modello sarà il pay as you go. Eppure,
in Italia, tutto questo si scontra con i dubbi relativi alla
sicurezza da parte delle aziende.

La sicurezza è una delle paure del nuovo millennio e quella
relativa alle reti non fa eccezione. All’inizio del millennio si
parlava di rete come villaggio globale: io credo sia una metafora
molto calzante. Però se pensiamo ad un villaggio, uno degli
elementi fondanti sono le strade. E allora mi sento di dire che la
rete di oggi, se manteniamo viva questa metafora, è come la vita
reale del medioevo, dove le strade erano insicure e dove chiunque
aveva qualche piccolo avere fortificava la propria casa. Internet
è ancora un posto dove ci sono le scorrerie di chiunque: è per
questo che noi ad esempio abbiamo scelto un approccio dove le
tecnologie di sicurezza sono a bordo della rete, in modo che la
rete stessa diventi sicura. Perché per avere uno sviluppo bisogna
rendere le strade sicure: solo così possiamo liberare le
possibilità della rete, che è sempre più fondamentale per le
aziende. Unified Computing, Cloud, telefonia via Ip: se vogliamo
usare veramente la rete come dispatcher di servizi, allora metterla
in sicurezza è fondamentale.

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