SCENARI

Un milione di smart workers nella PA, riflettori sul rinnovo del contratto

La direttiva a cui sta lavorando la ministra Dadone prevede un massiccio ricorso al lavoro agile anche nel post-Covid 19. Diritto alla disconnessione al centro della trattativa tra Aran e sindacati

Pubblicato il 24 Giu 2020

smart home- smart working

Un milione di dipendenti pubblici lavoreranno in smart working a partire dal 2021. Lo prevede, secondo quanto riporta Il Sole 24 Ore, la direttiva a cui sta lavorando la ministra della PA Fabiana Dadone in vista della fine della fase di emergenza il 31 luglio.

Attualmente, secondo le rilevazioni di Palazzo Vidoni, lavorano da remoto 7 lavoratori su 10 con picchi del 90% in alcune funzioni di back office. Spetterà comunque alle singole amministrazioni decidere, una volta che le attività saranno tornate a regime, la quota di lavoratori “agili”. Il tema sarà uno di quelli “caldi” al centro delle prossime trattative per il rinnovo del contratto del pubblico impiego tra Aran e sindacati.

La posizione del sindacato

Un report della Cgil-Fondazione Di Vittorio rileva un alto rischio di burnout per gli smart workers anche legato alla mancanza di regole certe sulla disconnessione. Nel 37% dei casi il lavoro agile è stato attivato in modo concordato con il datore di lavoro; nel 36% dei casi in modo unilaterale dal datore di lavoro; nel 27% dei casi in modo negoziato attraverso l’intervento del sindacato.

“Gli strumenti che abbiamo sono il contratto collettivo nazionale e il contratto aziendale – ricorda il segretario generale della Cgil Maurizio Landini – Nei nuovi contratti vanno affrontate tutte le questioni e i problemi che sono emersi sull’applicazione dello smart working, dalla formazione al diritto di disconnessione. Prevedere pause, fare distinzioni tra lavorare il giorno e la notte, di sabato e festivi, sui mezzi da utilizzare, evitare le discriminazioni di genere: bisogna allargare la contrattazione e fare in modo che tutte le modalità di lavoro, compreso lo smart working, siano regolamentate”.

La sollecitazione del Garante Privacy

Proprio ieri, in occasione delle presentazione della Relazione Annuale, il Garante Privacy Antonello Soro, ha ribadito la necessità di garantire il diritto alla disconnessione.

“Il diffuso ricorso allo smart working, generalmente necessitato e improvvisato, ha catapultato una quota significativa della popolazione in una dimensione, delle cui implicazioni non sempre si ha piena consapevolezza e di cui va impedito ogni uso improprio – ha avvertito Soro – Infatti  potendo favorire una nuova articolazione dei processi produttivi in grado di accrescere efficienza e flessibilità, lo smart working potrebbe ragionevolmente divenire una forma diffusa, effettivamente alternativa, di organizzazione del lavoro“.

Per questa ragione, ha sottolineato il presidente dell’Autorità Garante della Privacy, “andranno seriamente affrontati e risolti tutti i problemi emersi in questi mesi: dalle dotazioni strumentali alla garanzia di connettività, dalla sicurezza delle piattaforme alla effettività del diritto alla disconnessione, senza cui – ha osservato – si rischia di vanificare la necessaria distinzione tra spazi di vita privata e attività lavorativa, annullando così alcune tra le più antiche conquiste raggiunte per il lavoro tradizionale”.

Il ricorso intensivo allo smart working e alle nuove tecnologie per la prestazione lavorativa “non deve rappresentare l’occasione per il monitoraggio sistematico e ubiquitario del lavoratore – ha evidenziato- ma deve avvenire nel pieno rispetto delle garanzie sancite dallo Statuto dei lavoratori a tutela dell’autodeterminazione, che presuppone anzitutto un’adeguata formazione e informazione del lavoratore“.

In particolare, per il presidente dell’Autorità Garante della Privacy, “va inteso in modo rigoroso, come abbiamo ricordato anche in sede parlamentare, il vincolo finalistico all’attività lavorativa che, rispetto ai controlli mediante strumenti utilizzati per rendere la prestazione, legittima l’esenzione dalla procedura concertativa o autorizzativa”.

Dunque, ha concluso Soro, per garantire che le nuove tecnologie rappresentino un fattore di progresso e non di regressione sociale, valorizzando anziché comprimendo le libertà affermate sul terreno lavoristico, è indispensabile garantirne la sostenibilità sotto il profilo democratico e la conformità ad alcuni irrinunciabili principi”.

La proposta del ministro Giuseppe Provenzano

Nelle scorse settimane è intervenuto nel dibattito anche il ministro per il Sud e la Coesione. “Dobbiamo pensare a un nuovo Statuto dei lavoratori, un codice del lavoro molto semplificato che estenda tutele ai lavoratori che oggi non ne hanno – ha spiegato Provenzano – C’è anche il tema di come regolare lo smart working, il diritto alla disconnessione e la conciliazione dei tempi di vita”.

Già nella legge 81 del 2017 si parla di diritto alla disconnessione, rimandando però agli accordi individuali o collettivi in azienda l’adozione di “misure tecniche e organizzative necessarie” ad assicurarlo. In questi anni alcune grandi aziende hanno garantito questo diritto, applicandolo per esclusione: viene stabilita una fascia oraria in cui il lavoratore è reperibile, al di là si quell’orario resta inteso che non lo sia.

La riflessione dell’esperto

Secondo il Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano e Presidente di P4I, ingabbiare lo smart working in regole troppo stringenti è parecchio rischioso.

“Soprattutto il pericolo di snaturare il principio cardine dello smart working che è appunto la volontarietà, non un diritto o una concessione, ma un accordo individuale -spiega Corso –  Un accordo che deve tradursi in un ‘gioco’ a somma positiva tra azienda e lavoratore, uno scambio tra autonomia e responsabilità sul risultato. Una grande innovazione di flessibilità e modernità che adesso rischia di soccombere di fronte ai tentativi di ingabbiare lo smart working dentro un quadro normativo più rigido”.

“Normare a priori i temi di connessione o disconnessione è un approccio che rimanda al telelavoro che allo smart working, che invece prevede deve prevedere autonomia e flessibilità anche sul fronte dell’orario – evidenzia – È chiaro che affermare il diritto del lavoratore a non dover costantemente connesso è sempre importante, ma il modo con cui si traduce questo diritto deve essere diverso. In generale un elemento fondamentale dello Smart Working deve essere la ‘non omologazione’, gli accordi devono restare individuali per poter essere personalizzati in funzione delle esigenze specifiche dell’azienda e di ciascuna persona”.

La legge 81 del 2017, che non a caso è una soft law, deve – secondo l’esperto – continuare ad essere il riferimento anche per vincere le sfide del new normal.

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