Virtual desktop, strumenti di collaboration e smart working sono stati – e sono tuttora – i principali fattori di successo per le aziende che hanno scelto di affrontare l’emergenza coronavirus senza scendere a compromessi sul piano dei risultati di business. In questo particolare momento strorico che ha portato alla dematerializzazione di processi e task anche organizzazioni che ancora non avevano intrapreso questo tipo di percorso, i componenti chiave sono stati essenzialmente due: infrastruttura digitale e lavoro remoto.
In molti, troppi casi, però è mancato il terzo componente, indispensabile per finalizzare il circolo virtuoso dell’innovazione, specialmente durante le prossime, inevitabili, fasi di contrasto alla pandemia: parliamo del change management . È infatti attraverso un’oculata gestione della transizione da un modo di lavorare all’altro, supportata da iniziative coerenti di informazione e comunicazione a tutti i livelli della forza lavoro, che si riesce non solo ad approfittare del vero potenziale di virtual desktop, collaboration e smart working, ma anche a trasformare l’impresa in una vera e propria smart enterprise, capace di operare in qualsiasi condizione o luogo.
Comprendere le esigenze degli utenti per facilitare l’innovazione
“Il change management è fondamentale in qualsiasi progetto di trasformazione digitale, e, a maggior ragione, nel contesto di un cambiamento così radicale come quello che stanno affrontando tutte le imprese in questi mesi”, conferma Andrea Piccolo, Account Manager presso Proge-Software, tech company e system integrator che proprio sul connubio tra tecnologia e consulenza ha costruito un posizionamento strategico, offrendosi come partner a 360 gradi per le aziende italiane che puntano a sviluppare il business facendo leva sulle soluzioni digitali. “Il nostro primo compito è far comprendere al cliente qual è la sua reale esigenza di cambiamento”, avverte Piccolo. “In alcuni casi, tipicamente quelli in cui l’accesso all’infrastruttura interna è trasparente, riuscire a garantire continuità nell’accesso all’operatività è relativamente semplice. In altri casi occorrono cambiamenti più radicali, con l’adozione da parte della popolazione aziendale di strumenti e metodologie mai sperimentati prima. Un’eventualità che impone all’organizzazione non solo di creare di nuove competenze informatiche, ma anche e soprattutto di promuovere una nuova cultura del lavoro. Inutile dire che, specialmente nell’epoca in cui viviamo, si tratta di iniziative di education che devono sortire il loro effetto nel più breve tempo possibile, individuando e rimuovendo la fisiologica resistenza al cambiamento”.
Virtual desktop: attivarlo è semplice, farlo adottare un po’ meno
Sul fronte della system integration è quindi auspicabile puntare su un approccio flessibile anche nel momento in cui occorre estendere l’infrastruttura e ridisegnare le piattaforme per renderle compatibili con le metodologie e gli standard di sicurezza necessari per un corretto smart working, mentre rispetto al change management il primo passo consiste nella valutazione dell’impatto sugli utenti finali.
“Se l’impatto è elevato, entra inevitabilmente in gioco un fattore di resistenza, e il piano di digitalizzazione rischia di rivelarsi un insuccesso”, spiega Piccolo. “Nello scenario più semplice, il nostro lavoro consiste nell’estendere le funzionalità di cui i lavoratori disponevano in ufficio, sull’architettura on premise, rendendone la fruizione sicura sul piano della data protection e compliant con la normativa anche da remoto. In una situazione più complessa, dobbiamo invece far capire al cliente che il modo di lavorare che ha contraddistinto l’era pre-Covid può cambiare solo a patto di fare un investimento cospicuo sulla trasformazione della cultura aziendale, oltre che dell’infrastruttura IT. Noi abbiamo sul piano tecnologico tutti i mezzi per mettere chiunque in condizione di lavorare in smart working praticamente in tempo zero: siamo in grado di attivare nel giro di poche ore postazioni virtual desktop che consentono gli utenti di svolgere il 100% delle proprie attività quotidiane da qualsiasi luogo. La difficoltà sta soprattutto nell’allineamento tra aggiornamento tecnologico e educazione all’uso corretto delle nuove soluzioni”.
Nuovi approcci alla formazione nell’era del Covid-19
Cercare di ridurre la differenza di passo tra la trasformazione tecnologica e quella metodologica nel momento in cui permane quantomeno la raccomandazione di mantenere al minimo i contatti sociali implica un cambio di passo nell’approccio al change management. “Se prima lo strumento principe della formazione era il tradizionale corso in aula – a cui in taluni fortunati casi si associavano indagini qualitative, strategie di sponsorship da parte del top management e il ricorso alla collaborazione di champion aziendali per promuovere l’adozione dei nuovi strumenti su base quotidiana – oggi dobbiamo declinare tutti questi canali sulle piattaforme digitali”, spiega Andrea Piccolo. “In qualità di partner Microsoft ci siamo trovati avvantaggiati nell’implementare rapidamente le nuove features offerte dal vendor, a partire da Teams fino a Windows Virtual desktop e ai bot, grazie ai quali abbiamo già esplorato un’ampia di gamma di use cases, mettendo a disposizione dei nostri clienti piattaforme evolute con funzioni di education e collaboration accessibili da remoto. Posso citare per esempio un progetto realizzato per un noto gruppo bancario del Nord Italia, che, quando si è prospettato l’inizio del lockdown ci ha chiesto di preparare in tempi brevissimi un virtual desktop environment per i suoi 3.500 dipendenti. Il roll out è avvenuto nei tempi previsti, due settimane, e grazie alla massiccia adozione della soluzione da parte dei dipendenti non c’è stata perdita di produttività”, racconta l’esperto di Proge-Software.
La prossima sfida del change management? Gestire il work-life balance
Anche se smart working e change management stanno cambiando pelle alle aziende, le stesse non possono disimpegnarsi da attività che rimangono imprescindibili. Programmi di sponsorship interne, pillole di formazione, test di valutazione e classi one-to-many restano, solo che si evolvono in tutorial online, survey digitali e webinar, con contenuti ad hoc per ciascun dipartimento e funzione. “Lavorando in ottica multicanale – dal mailing alle notifiche sui desktop virtuali passando per sessioni di training calendarizzate – riusciamo a rinforzare i messaggi concordati con l’azienda in maniera continua, avvolgente e incisiva, supportando l’utente finale a 360 gradi”, garantisce Piccolo.
“D’altronde stiamo dando vita a un nuovo modo di lavorare che non scomparirà dopo l’emergenza coronavirus, e che anzi, sono convinto, diventerà la norma. Quello del delivery dei servizi IT da remoto era un trend già in atto e oggi è sempre più richiesto perché i vantaggi sono indubbi, grazie soprattutto al fatto che, come ho già detto, i tempi di reazione e adozione delle soluzioni sono ormai quasi azzerati. Assistiamo poi a un boost della produttività: chiunque abbia lavorato in smart working può confermare che si tratta di qualcosa di tangibile. Il lato più o meno negativo di questo cambiamento è che l’orario lavorativo tradizionale è destinato a scomparire, e le persone dovranno imparare, in questa dimensione ancora da esplorare, a bilanciare la vita personale con quella professionale. Credo che aiutare le aziende a trovare un compromesso tra i due aspetti della nuova modalità lavorativa sarà una delle nuove sfide del change management”.