Usare i fondi del Recovery Plan per investire in formazione, con particolare attenzione a quella Stem. L’appello arriva dal ceo di Deloitte Italia, Fabio Pompei, dopo la pubblicazione dei dai dati Istat su istruzione e occupazione.
“I dati di Istat sono un campanello di allarme: un Paese con tassi di istruzione così bassi è un Paese che non cresce e non innova. Dobbiamo invertire questo trend, cogliere al volo le opportunità che il Next Generation Plan della Commissione Europea ci offre e usare i fondi del anche – evidenzia Pompei – Le partite strategiche dei prossimi anni passano proprio dalla capacità di imprese e Stati di innovare: se perdiamo questo treno, perdiamo un’occasione storica.
Secondo i dati Istat, in Italia, nel 2019, la quota di popolazione che possiede almeno un titolo di studio secondario superiore è pari a 62,2%: un valore decisamente inferiore a quello medio europeo (78,7% nell’Ue a 28). Non meno ampio è il divario rispetto alla quota di popolazione laureata: in Italia, si tratta del 19,6%, contro un valore medio europeo pari a un terzo (33,2%). Per quanto riguarda i laureati Stem, nel 2019 essi rappresentano appena il 24,6% dei laureati (25-34enni) e il divario di genere rimane molto forte: il 37,3% degli uomini ha una laurea Stem contro il 16,2% delle donne.
I ragazzi italiani che si sentono a loro agio con le materie tecnico-scientifiche e le scelgono per le loro carriere universitarie sono troppo pochi.
L’approfondimento di Deloitte sul gap nelle Stem
Deloitte ha approfondito il fenomeno del gap nelle Stem in un report redatto in collaborazione con Swg, secondo cui l’evoluzione e l’innovazione tecnologica stanno rivoluzionando il mercato del lavoro, determinando un incremento nella ricerca di profili Stem a cui però non corrisponde un incremento dell’offerta di risorse con un background di carattere scientifico e informatico: circa un’azienda su quattro (23%) non è riuscita a trovare profili Stem nel “momento del bisogno”.
“Deloitte e Fondazione Deloitte hanno deciso di impegnarsi in prima linea per contribuire a una sfida così complessa. Il network di Deloitte, in Italia e nel mondo, già da tempo è convinto che su questo tema si debba giocare un ruolo importante – dice Pompei – All’inizio del 2020, Deloitte ha lanciato il progetto Impact for Italy, con l’obiettivo di contribuire a far crescere e rendere più competitivo il Paese anche grazie alle imprese e a un approccio rinnovato rispetto al passato. L’Italia deve compiere uno sforzo eccezionale per reagire alla crisi e scongiurare la minaccia di una recessione senza precedenti: si tratta di una prova storica per il nostro Paese, che proprio in questi mesi si appresta a prendere il testimone della guida del G20, con l’obiettivo di riflettere sul nuovo mondo che vogliamo costruire.”
I dati del gap tra domanda e offerta di profili Stem
In Italia, solamente 1 studente universitario su 4 è iscritto a facoltà Stem (il 27% del totale), e queste risorse non mostrano un incremento significativo negli anni. Inoltre, di questi studenti, solo 1 su 10 è iscritto alle facoltà che rispondono appieno alle esigenze professionali emergenti. Nonostante esista un potenziale bacino di studenti interessati alle materie tecnico-scientifiche, una percentuale rilevante di questi ultimi ha cambiato rotta nel momento decisivo di iscrizione: 2 studenti non Stem su 5, e 1 giovane occupato su 3, hanno infatti dichiarato di avere avuto un interesse verso le discipline Stem, che non si è mai concretizzato.
Tra i fattori che influenzano le scelte scolastiche dei ragazzi, il primo posto è occupato dalla famiglia, mentre i servizi di orientamento hanno un impatto marginale: solo 1 studente su 6 è stato guidato dai centri di orientamento nella scelta dell’indirizzo scolastico. Gli studenti si troverebbero quindi un po’ soli, al momento della scelta, fattore che porterebbe ad una percezione distorta dell’effettiva offerta formativa e delle potenzialità della stessa.
Ma quali sono i motivi che allontanano i giovani dalla scelta di percorsi formativi Stem? Chi si iscrive a scuole secondarie non Stem, lo fa principalmente perché ritiene che questi percorsi siano maggiormente in linea con le proprie capacità. Nel passaggio all’Università, invece, la passione per le materie e la coerenza con le proprie capacità, vengono integrati anche dalla valutazione circa la possibilità di raggiungere la professione ambita. I giovani, infatti, associano al percorso Stem delle professioni evidentemente poco ambite, in particolare il professore sottopagato, lo scienziato premio Nobel, o l’informatico nerd.
Gli stereotipi di genere
Questi bias risultano ancor più marcati all’interno dell’universo femminile, presso cui vi è un’elevata percezione di disallineamento di interesse rispetto ai contenuti (per il 66% delle donne contro il 59% degli uomini) e di inadeguata formazione (per il 24% donne contro il 16% degli uomini).
E se aziende e professori non riscontrano alcun gap di genere nelle performance, ben 1 giovane occupato in ambito Stem su 3 ritiene che il proprio lavoro sia più adatto alle capacità degli uomini.
L’offerta formativa nazionale sembra essere apprezzata da studenti e aziende: queste ultime, in particolare, dichiarano un elevato grado di soddisfazione sul livello di preparazione degli studenti e delle risorse in azienda. La valutazione addirittura aumenta nel caso di risorse Stem che, su una scala da 1 a 10, ottengono un voto medio di 6,7 presso i docenti, e di 8,3 per le imprese – quindi con le aziende che valutano i giovani addirittura in maniera più positiva rispetto ai loro docenti.
Alcuni elementi che rendono premiante la formazione scolastica e accademica vengono riconosciuti nelle soft skill, ovvero quelle capacità di stampo cognitivo, relazionale e comunicativo, che differiscono dalle competenze e capacità tecniche legate a specifiche mansioni o ruoli. Elementi rilevanti sono, ad esempio, pensiero critico, problem solving e proattività. Gli studenti si sentono in media meno preparati su altre competenze trasversali ritenute importanti dalle imprese, come capacità decisionali e gestionali, creatività e team management.
Oltre a queste ultime, altri spunti di sviluppo per l’offerta formativa sono:
- maggiore bilanciamento tra teoria e pratica: il 34% dei docenti Stem lamenta infatti di avere a disposizione un numero insufficiente di ore dedicate allo sviluppo di competenze pratiche
- maggior coinvolgimento nell’insegnamento: solo 1 studente non Stem su 2 si sente coinvolto dai propri docenti nelle materie tecnico-scientifiche
- aggiornamento delle dotazioni: 2 docenti intervistati su 3 accusano la presenza di dotazioni insufficienti o arretrate
- maggior bisogno di collaborazioni scuola-mondo del lavoro: al momento le collaborazioni sono valutate insufficienti dal 64% degli studenti e dal 61% dei docenti
- aumento dell’efficacia del sistema di orientamento: oltre la metà delle imprese intervistate (55%) dichiara di non prendere parte a servizi di orientamento.
Uno sguardo al futuro
In conclusione, il report ha identificato quattro principali leve volte a coinvolgere maggiormente i giovani e ad incoraggiare la scelta di percorsi Stem:
- Favorire la pratica durante le ore di didattica;
- Rafforzare i momenti di incontro con le aziende;
- Eliminare le distorsioni percettive sui percorsi Stem;
- Contaminare i programmi Stem e non Stem, spostandosi verso le cosiddette “Digital Humanites”.
La pandemia e il successivo lockdown hanno fatto emergere alcune importanti lacune, come il digital divide tra istituzioni e abitazioni e, in alcuni casi, un tema di mancata alfabetizzazione digitale di insegnanti, famiglie e addirittura studenti.
È presto per misurare l’impatto che la pandemia da Covid-19 avrà sulla percezione e sull’appeal delle discipline e professioni Stem – puntualizza il report – ma la crisi sanitaria e la digitalizzazione del mondo accademico e professionale potrebbero ravvivare l’interesse verso questo ambito e portare nuova linfa al settore, anche con una revisione delle mansioni legate alla digitalizzazione.
“Le materie Stem sono il futuro: saranno, infatti, le discipline tecniche e scientifiche a plasmare il mondo di domani. Le imprese se ne sono accorte da anni, ma non è accaduto lo stesso tra i giovani italiani, che, nella maggioranza dei casi, continuano a puntare su una formazione non Stem – sottolinea Paolo Gibello, Presidente Fondazione Deloitte – Per questo, come Fondazione, abbiamo deciso di dare vita a un Osservatorio e di indagare le motivazioni delle scelte dei giovani. I risultati che emergono ci fanno capire che l’Italia ha tutto il potenziale per invertire il trend e porsi all’avanguardia del settore dell’istruzione e della ricerca anche in ambito Stem. È una grande sfida per tutto il sistema Paese”.