L’ANALISI

Rete unica Tlc, Bernabè: “Non basta consenso politico, molte incognite”

Il presidente di Cellnex ed ex Ad di Tim: “Mi sorprende un po’ che venga dato per scontato l’esito di un progetto irto di ostacoli. Il coordinamento degli investimenti nelle aree grigie si poteva raggiungere anche con un accordo commerciale o di coinvestimento”.

Pubblicato il 31 Ago 2020

Franco_Bernabe_Nuevo_Presidente

“Mi sorprende un po’ che venga dato per scontato l’esito di un progetto irto di ostacoli e su cui gravano molte incognite. Il processo coinvolgerà due grandi società quotate, Tim ed Enel, i cui cda dovranno valutarne la convenienza e le implicazioni, dei soggetti terzi, come il fondo Kkr e forse anche Macquaire, che badano principalmente al ritorno economico, e un investitore pubblico con soldi privati qual è la Cdp. A mio parere non basta un’indicazione di consenso politico per buttare il cuore oltre l’ostacolo”. Lo afferma in un’intervista a Repubblica Franco Bernabè, presidente di Cellnex ed ex amministratore delegato di Tim sulla rete unica Tlc.

“La creazione di una nuova società che ha la missione di sviluppare la fibra nella rete di accesso secondaria, il cosiddetto ultimo miglio, mi sembra positiva sia per Tim sia per il Paese aggiunge Bernabè   Perché permette di accelerare la transizione dal rame verso la fibra nel tratto che dagli armadi va fino alle abitazioni. Facendo partecipare Kkr alla nuova società inoltre Tim riduce il debito e fissa un prezzo certo per questa parte di rete e implicitamente anche per quello della rete di accesso nella sua totalità”. 

Ma ciò non toglie che gli ostacoli verso la realizzazione della rete unica, secondo la visione di Bernabè, siano molti e che l’esito del percorso non sia così scontato come sembrerebbe. 

A partire dalla governance della newco che sarà chiamata a gestire l’infrastruttura: quella ipotizzata, spiega il manager, “è una soluzione ardita per la quale si intende chiedere una valutazione preventiva ad Autorità che si sono già espresse contro i sistemi verticalmente integrati. Questo trascura il fatto che le stesse Autorità non danno pareri preventivi ma decidono solo dopo la presentazione di un progetto compiuto in ogni suo aspetto e per decidere devono effettuare le analisi di mercato. Tutto ciò richiederà molto tempo”. 

“Ritengo corretto che sia Tim che Open Fiber continuino a sviluppare i loro piani – aggiunge Bernabè –  altrimenti in caso di fallimento del progetto ci sarebbe un danno per il Paese notevole. Uno dei problemi della possibile combinazione riguarda il fatto che la rete in fibra nelle aree bianche, quelle del cosiddetto piano BUL, appartengono allo Stato, non a Open Fiber. Dunque uno dei rimedi che potrebbero chiedere le autorità potrebbe essere lo scorporo da Open Fiber di queste aree, visto che non possono essere attribuite a un privato. In questo modo verrebbe meno lo scopo di tutto questo ambizioso progetto”. 

“La rete di Tim – prosegue Bernabè nella sua analisi – è fatta di diverse componenti, dalla dorsale primaria (il backbone ), alla rete di aggregazione e poi una rete di accesso che a sua volta è divisa in primaria (dalle centrali ai cabinet) e secondaria. Nella combinazione con Cdp è prevista l’integrazione della rete di accesso primaria. Comunque poiché le dorsali, la rete di aggregazione e la primaria di accesso sono già in fibra, mentre non lo è la secondaria di accesso, bene fa Tim a spingere con Kkr su quest’ ultimo tratto, anche dopo l’irrituale stop del governo agli inizi di agosto”. 

Ulteriore aspetto che potrebbe rendere più difficile la realizzazione della rete unica secondo Bernabè è il fatto che “L’integrazione comporta comunque costi rilevanti perché le due reti hanno architetture diverse. Il vero vantaggio è rappresentato dal coordinamento degli investimenti nelle aree grigie – conclude – nelle quali non c’è ancora un piano di copertura sistematico. Ma questo obbiettivo si poteva raggiungere anche con un accordo di coinvestimento o commerciale”. 

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