Si inasprisce la trade war Usa–Cina. Il primo produttore di microprocessori della Cina, Semiconductor Manufacturing International Corp (Smic), ha chiuso a picco sulla Borsa di Hong Kong, con un meno 22,88% a 18,24 dollari locali dopo che le autorità Usa hanno annunciato di aver messo la società nel mirino con l’accusa di collaborare con l’Esercito cinese. Il chipmaker potrebbe così finire nella lista nera (Entity List) dei gruppi con cui ogni scambio di beni deve essere oggetto di valutazioni e possibili preclusioni.
Una misura simile potrebbe compromettere le capacità produttive di sviluppo e produzione di Smic, proprio mentre a causa delle tensioni commerciali con gli Usa la Cina punta a potenziare le sue capacità produttive di semiconduttori e la sua autonomia sul settore.
La risposta di Pechino non è fatta attendere. Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Esteri cinese, ha inviato gli Stati Uniti a non generalizzare il concetto di sicurezza nazionale a danno delle società straniere. “La Cina ha ripetutamente affermato la sua posizione solenne sulla repressione delle società cinesi da parte degli Stati Uniti – ha spiegato – Per un periodo di tempo gli Stati Uniti hanno generalizzato il concetto di sicurezza nazionale, abusato del potere nazionale e imposto varie misure restrittive alle aziende cinesi senza alcuna prova reale. Questo è davvero un atto egemonico e la Cina si oppone fermamente”.
Smic ha commentato la notizia esprimendo sconcerto e negando rapporti con l’Esercito cinese: “L’azienda produce semiconduttori e fornisce servizi esclusivamente per utenti finali civili e commerciali – evidenzia una nota – Non abbiamo alcun rapporto con l’Esercito cinese. Qualsiasi ipotesi sui legami della società con l’Esercito cinese è un’affermazione non vera ed è una falsa accusa. La mossa degli Stati Uniti è contraria all’economia di mercato e ai principi di concorrenza leale che gli Stati Uniti hanno sempre promosso. Non solo viola le regole del commercio internazionale e distrugge la catena industriale globale, ma danneggia anche gli interessi nazionali e l’immagine degli Stati Uniti”.