La rete unica di Tlc non è tecnicamente fattibile. E le complicazioni sul cammino rischiano di rallentare lo sviluppo della banda ultralarga in Italia. Questa in sintesi, la conclusione a cui giunge il docente dell’Università dell’Insubria e di Sda Bocconi Francesco Sacco. In un intervento sul quotidiano online Italia Informa il docente analizza punto per punto le questioni aperte, alcune insanabili sulla base dello status quo tecnico-infrastrutturale. Problemi che potrebbero essere risolti “senza le grandi manovre della rete unica” attraverso accordi commerciali o di co-investimento in specifiche aree del Paese per evitare duplicazioni di asset e quindi consentire alle due compagnie da un lato di abbattere i costi e dall’altro di concentrare gli investimenti su porzioni territoriali in cui si necessita di accelerare la posa della banda ultralarga in linea dunque con gli obiettivi del Governo che punta a chiudere il digital divide e a dotare il Paese di infrastrutture adeguate alle esigenze della digital economy e della ripresa post-Covid-19.
“Le differenze tra le due reti non sono né poche né piccole – scrive Sacco nel suo intervento -. La prima differenza è macroscopica. Open Fiber (OF) sta realizzando una rete di telecomunicazioni in fibra che non ha vincoli tecnologici con il passato. Pertanto, può sfruttare fino in fondo tutti i vantaggi tecnologici dati dalla fibra, che permette lunghi tratti, anche decine di chilometri, senza bisogno di ripetere il segnale. Ciò le consente di coprire l’intero territorio nazionale con meno di 2000 centrali, peraltro più piccole, con meno personale, più facili da gestire e più ecologiche rispetto a quelle di Tim che copre lo stesso territorio con 10.400 centrali avendo la sua rete in rame una distanza ideale tra centrale e utente finale di circa 1,4 km”. Se è vero che le cose stanno cambiando “nel 2017 Tim ha lanciato un piano per ammodernare le sue centrali e chiuderne 6.000 entro il 2024” – Sacco evidenzia che “anche se il progetto venisse completato in tempo, i numeri e i costi resterebbero comunque un multiplo di quelli di OF”.
Ma la questione delle centrali non è l’unica sul piatto: citando uno studio di Arthur D. Little, Sacco ricorda che “una rete soltanto in fibra garantisce un tasso di guasti tra 2,5 e 15 volte inferiore rispetto ad una in rame; i costi di manutenzione sono tra 2,1 e 7,1 volte inferiori; il consumo energetico per il suo funzionamento è tra 2,2 e 6,7 volte più basso. Per questo, molti operatori che, come Tim, possiedono una rete nazionale (incumbent) in rame, hanno già da un po’ avviato la migrazione (switch-off) verso le reti in fibra”. In Italia però, i clienti attivi in fibra sono appena il 5%, ben lontani dalla soglia del 30% per area di centrale che renderebbe il processo economicamente sostenibile. “La rete in rame dovrà rimanere in piedi ancora per molto tempo, con tutti i suoi vincoli, duplicando i costi rispetto alla rete in fibra e rendendo le telecomunicazioni italiane meno efficienti e affidabili. Questa migrazione, che potrebbe rallentare e complicare lo sviluppo della banda ultralarga, andrà fatta anche senza la rete unica. Essendo inevitabile una lunga coesistenza tra le due reti, è da capire come saranno suddivisi i costi e i risparmi di questa migrazione tra pubblico e privato ma anche con gli utenti finali”.
Altra discrepanza riguarda la “natura” delle due reti: quella di OF è stata pensata dall’origine per offrire un servizio all’ingrosso e dare una rete autonoma fino a 20 operatori diversi per ogni area servita con la massima flessibilità. Al contrario, la rete in fibra ottica di Tim può offrire il servizio al massimo a tre operatori. E mentre OF consente ad ognuno dei 20 operatori di avere un proprio collegamento dedicato, Tim prevede un solo collegamento in centrale da condividere tra tutti gli operatori terzi presenti. “Quando si parla di rete unica, questi dettagli tecnici, apparentemente esoterici, fanno un’enorme differenza. Sono lo spartiacque tra un servizio realmente in concorrenza e un monopolio mascherato”.
Un’altra differenza riguarda i tracciati che seguono le due reti. “OF è nata su un presupposto tecnico: la rete elettrica è più capillare della rete telefonica”. In Italia – scrive Sacco dati alla mano – ci sono 36 milioni di utenze elettriche e 19,5 milioni di linee telefoniche fisse attive, mentre in strada ci sono 450.000 cabine elettriche e 140.000 cabinet della rete telefonica. “Pertanto, per cablare interamente in fibra l’Italia è più facile appoggiarsi alla rete elettrica, più ramificata e praticabile, che riutilizzare la rete telefonica in rame preesistente, spesso interrata e inaccessibile. Se cablare riutilizzando la vecchia rete telefonica è più lento e costoso, chi si addosserà il costo delle disergie o, al contrario, come si valuteranno i relativi risparmi?”.
Last but not least le differenze territoriali “la ragione principale per giustificare la necessità di una rete unica: evitare duplicazioni degli investimenti”. Tim, stando al piano FiberCop, vuole coprire con fibra fino a casa il 100% delle aree nere, circa il 60% delle aree grigie, mentre nelle aree bianche ci sarà soltanto Fttc e soltanto per il 50% delle abitazioni. I piani di OF prevedono poco meno del 100% delle aree nere in Ftth incluse le aree industriali aggiunte con il recente aggiornamento del piano industriale e l’80% delle aree bianche, il resto sarà coperto con Fwa.
“Pertanto, la reale sovrapposizione tra le due reti in fibra – finora – si riduce a una parte delle aree nere. Tim come OF, non ha ancora cablato nulla nelle aree grigie. Quindi, in prospettiva, se le due aziende raggiungessero un accordo commerciale o di coinvestimento per le aree grigie, la loro sovrapposizione potrebbe restare limitata soltanto a quelle aree dove c’è già concorrenza infrastrutturale tra reti broadband e il problema sarebbe risolto senza le grandi manovre della rete unica”.