LA VERTENZA

Assoprovider in rivolta: “Non siamo i censori della Rete”

Gli Isp italiani impugnano la decisione del Tribunale del Riesame di mettere sotto sequestro Indymedia, accusato di aver diffuso notizie diffamatorie ai danni di una multinazionale. “Così si viola la libera circolazione delle informazioni e si mettono paletti al commercio elettronico”

Pubblicato il 27 Giu 2012

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Assoprovider, l’associazione dei piccoli provider e Isp che fanno capo a Confcommercio, ritiene che le richieste che sempre più assidue vengono rivolte agli Isp italiani dalla magistratura, ma anche dalle forze di polizia e da enti amministrativi quali l’Antitrust, volte a inibire l’accesso a siti residenti su server non riconducibili al controllo giuridico italiano, contrastino con i principi fondanti della libera circolazione delle informazioni e della libera espressione delle idee previsti dal Trattato istitutivo dell’Unione Europea, nonché a quanto previsto dalla direttiva sul commercio elettronico.

In particolare, gli ordini giunti nelle ultime settimane sono diretti contro blog, testate editoriali e portali di denuncia civile e rischiano di trasformare i provider in “censori” della rete a tutti gli effetti.

Nell’interesse di tutti gli attori di categoria e non, Assoprovider, in un’ottica di stretta legalità, ha voluto dare inizio ad un percorso giuridico che porti ad una chiarificazione che speriamo sia definitiva, nell’interesse dei provider, ma anche e soprattutto nell’interesse dei milioni di italiani che frequentano internet ogni giorno.

Il sequestro Indymedia

Secondo quanto riferito sul sito dello studio legale Fulvio Sarzana, il 22 giugno Assoprovider ha deciso di impugnare di fronte al Tribunale del Riesame di Milano, attraverso i legali dello studio, il sequestro Indymedia, per portare all’attenzione della Magistratura e dell’opinione pubblica le gravi conseguenze sulla libertà di espressione e sulle prerogative della stampa on line connesse ad ordini di inibizione di questo tipo.

Il 13 giugno 2012, tutti gli Internet Service provider nazionali ( nella fattispecie 271 imprese tra Provider nazionali ed aderenti ad Assoprovider) ricevevano un fax dal Nucleo di Polizia tributaria di Milano con la quale si ordinava l’inibizione, per i cittadini italiani all’accesso di alcune sezioni del network di comunicazione Indymedia.

La vicenda veniva ripresa da diversi organi di stampa, scatenando anche una ridda di voci sul perché le sezioni fossero ancora presenti su internet, sul perchè alcuni provider avessero nel frattempo dato adempimento e altri no, http://piemonte.indymedia.org/article/15270 sino a giungere ad articoli dubbiosi sullo stesso sequestro, nonostante vi fosse un provvedimento esplicito del GIP di Milano, Criscione. http://www.articolo21.org/2012/06/web-indymedia-piccolo-giallo-su-alcune-pagine-che-i-pm-vorrebbero-oscurare/

Cosa è accaduto e cosa accadrà

Indymedia aveva pubblicato dei leaks che delineavano ( a detta dell’articolista anonimo) uno scenario da spystory legato all’attività di una multinazionale con sede a Genova, che avrebbe coinvolto apparentemente anche nomi molto noti della finanza italiana, il tutto suffragato da documentazione riservata che era stata pubblicata integralmente sulle sezioni Toscana e Piemonte del portale,.

La storia era stata poi ripresa da testate quali Milano Finanza.

La società aveva poi querelato l’articolista anonimo e la stessa indymedia ottenendo a giugno di quest’anno anche il sequestro di intere sezioni del portale www.indymedia.org ( nella fattispecie le sezioni Toscana e Piemonte dello stesso network) nonostante all’interno dell’articolo sequestrato si fosse dato apparentemente conto di tutte le ragioni della stessa società multinazionale.

La stessa Indymedia ha infatti una policy che consente a chiunque si ritenga leso di disporre rettifiche e/o variazioni agli articoli postati da soggetti terzi rispetto alla propria organizzazione.

Tale policy, nonostante l’autore dell’articolo non avesse niente a che fare con la stessa Indymedia, è sembrerebbe essere stata stata rispettata tant’è che nell’articolo sottoposto a sequestro sono contenute le repliche inviate dalla società, le risposte della redazione e tutto l’iter della notizia e i documenti a supporto degli stessi.

Nonostante ciò, a distanza di quattro anni dalla querela e a quasi quattordici anni dai fatti, IL Gip di Milano, disponeva il 24 maggio scorso il sequestro preventivo delle pagine incriminate.

L’ordine però non veniva rivolto alla stessa Indymedia o al provider che pubblica il portale di Indymedia, ma a tutti i provider italiani di accesso.

In sostanza è come se venisse chiesto a diverse società che gestiscono autostrade di bloccare gli accessi ad un determinato paese, a seguito del verificarsi di un reato all’interno di una stanza di una specifica abitazione invece di sequestrare la singola casa e/o la stanza ove è stato commesso il reato.

Quest’ordine, diversamente dal sequestro o dalla cancellazione di singoli post o singole frasi è inbgrado di ottenere, senza conivolgere le testate o gli articolisti ( che possono anche difendersi ed argomentare sulla verità dei fatti) la cancellazione di interi siti internet o di sezioni ( anche molto estese, con centinaia di articoli) di siti internet

Per tali motivi l’Associazione ha deciso, ogniqualvolta riceverà un ordine di inibizione per i cittadini italiani, di sollevare di fronte ai giudici nazionali e Comunitari la possibile violazione della normativa comunitaria.

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