LA NOMINA

Cardani presidente Agcom, ok dal Senato

Dopo la Camera anche la Commissione Lavori Pubblici e Comunicazione di Palazzo Madama ha dato il via libera alla nomina con 21 voti a favore. Ora la palla passa al presidente della Repubblica

Pubblicato il 04 Lug 2012

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Angelo Marcello Cardani è il nuovo presidente dell’Agcom. Il via libera definitivo è arrivato dalla commissione Lavori pubblici e Comunicazioni del Senato che si è espressa con 21 voti a favore e un astenuto sulla designazione fatta l’8 giugno scorso dal premier Mario Monti e dal ministro per lo Sviluppo, le Infrastrutture e i Trasporti Corrado Passera. Il voto favorevole segue quello della Commissione Trasporti della Camera che lo scorso 27 giugno aveva votato sì con 36 voti favorevoli, tre contrari e un astenuto, a fronte di un quorum richiesto di 29.

Per l’insediameto di Cardani alla presidenza Agcom si attende il decreto di nomina che deve essere firmato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Secondo quanto risulta al Corriere delle Comunicazioni la prima riunione della nuova Agcom si terrà il prossimo 10 luglio.

Il voto è avvenuto immediatamente dopo l’audizione in Commissione al Senato, durante la quale Cardani ha spiegato che “l’economia digitale può fare molto per lo sviluppo dell’Italia”. Illustrando un quadro sintetico dell’uso di Internet, dei sistemi e dei servizi informatici a livello pubblico (come l’e-Government) e privato in Europa. “L’Italia è molto indietro ha sottolineato – Eproprio perchè il Paese è in una posizione arretrata ha un enorme potenziale di crescita: bisogna colmare il divario con la concorrenza in Europa e avere attenzione per la reddività”.

“La digitalizzazione economica – ha precisato- prevede la necessità di investimenti elevati e la diffusa comprensione dei fenomeni in atto e poi l’individuazione degli obiettivi che vanno perseguiti”.

Peraltro, ha rilevato ancora Cardani, “nelle stesse conclusioni del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno scorsi, è ripetuta la convinzione che l’economia digitale possa fare molto per trainare uno sviluppo intelligente e sostenibile, che l’efficienza della pubblica amministrazione passi per l’e-government, che la data del 2015 sia un limite non sorpassabile per la creazione di un Mercato Interno Digitale efficiente e funzionante, dove il commercio elettronico, la fatturazione elettronica ed i sistemi di pagamento elettronico creino nuove opportunità di crescita e di integrazione: il tutto rispettando diritti quali la diversità culturale e la proprietà intellettuale”. Su questi temi per il futuro dei nostri figli, occorre riuscire a trovare una via italiana alla digitalizzazione che, come Paese nel suo complesso, ci permetta di recuperare il tempo e le posizioni perdute”.

Per Cardani i problemi che ha di fronte l’Agcom sono tecnici ma anche di tipo più “politico” in relazione alle scelte da operare: “i problemi connessi con la rivoluzione digitale – ha detto – sono da una parte strettamente tecnici (e credo che l’Autorità sia equipaggiata per affrontarli) ma c’è anche un altro livello più politico, perché non coinvolge la sfumatura di confini tecnica esistente tra i vari settori ma il nuovo rimescolamento di diritti, tradizioni, libertà individuali, valori. Insomma ormai esiste un vero e proprio ecosistema digitale”. Da qui la necessità di “una forte cooperazione fra regolatore e legislatore”, in modo da avere norme su cui costruire soluzioni congrue e idonee per il cambiamento”. E naturalmente l’Unione europea è un “punto di riferimento irrinunciabile”.

La nuova Agcom dovrà lavorare a dossier scottanti quali il diritto d’autore su internet, l’assegnazione delle frequenze digitali e i servizi di manutenzione sull’ultimo miglio della rete di Telecom Italia. Paradossalmente, ben due di queste patate bollenti sono state gettate sul tavolo dell’Autorità dal governo Monti proprio quando Calabrò e compagni si apprestavano a concludere senza troppe scosse i sette anni di mandato.

A interrompere definitivamente la loro tranquilla navigazione è stata la decisione di stoppare il beauty contest avviato dal governo Berlusconi sulle frequenze digitali, per assegnarle invece attraverso un’asta competitiva. Un paio di settimane prima c’era già stata la norma del Decreto Semplificazioni in base alla quale i concorrenti di Telecom Italia dovranno essere liberi di affidare a soggetti diversi dall’ex monopolista i servizi di manutenzione sull’ultimo miglio, che oggi pesano per 2 euro sui poco più di 9 dell’affitto mensile di ogni singola linea presa in unbundling.

Come ogni decisione politica in materia di Tlc, anche queste richiedono applicazioni regolamentari. Ed è quasi superfluo dire che entrambe sposteranno soldi e potere. La prima costringe Rai e Mediaset ad acquistare a suon di rilanci qualcosa che le regole precedenti affidavano loro sostanzialmente gratis (e sarà proprio l’Authority a scrivere, nei prossimi mesi, le regole da cui dipenderà quali soggetti parteciperanno alla gara e a quali condizioni). La seconda apre un punto interrogativo da diversi milioni di euro sui conti di Telecom Italia, visto che i prezzi dei servizi di manutenzione sono stati finora incastonati nel costo dell’unbundling senza alcuna possibilità di distinzione da tutto il resto e ora dovranno essere come minimo passati alla lente di ingrandimento.

Qui c’è oltretutto un’appendice europea che rende la questione ancor più delicata e complessa. L’iniziativa del governo, infatti, non è piaciuta al commissario di Bruxelles all’Agenda digitale, Neelie Kroes, che ha subito fatto conoscere le sue perplessità in materia con un altolà a Roma: un intervento diretto su questa materia significherebbe invadere il campo dell’Agcom e di conseguenza esporrebbe l’Italia al rischio di una procedura di infrazione da parte dell’Ue. Neppure la successiva correzione di tiro di Monti, con l’espressa indicazione dell’Agcom come soggetto deputato a realizzare le modifiche alla normativa, ha convinto la Kroes. Che continua ad aspettare chiarimenti.

Una situazione a dir poco imbarazzante per l’Authority (l’Ue che scende in campo per difenderla da una richiesta del suo governo di agire contro l’ex monopolista e principale vigilato), di fronte alla quale Calabrò ha dato prova della consueta diplomazia, rivendicando le sue prerogative e tempo stesso dicendosi fiducioso che queste non saranno violate. Come si muoverà il suo successore fra governo, Commissione Ue, operatore dominante e Olo? Di sicuro le scelte su questa materia saranno sotto i riflettori fin dal giorno dell’insediamento.

Ma anche queste potranno rivelarsi poco più che schermaglie di fronte al tema che si annuncia come il più importante della prossima consiliatura: quello della proprietà intellettuale. Lo schema di regolamento messo a punto dall’attuale consiglio (contenente l’obbligo di rimuovere dai siti i contenuti che violano il diritto d’autore) ha il valore di una prima indicazione e già hanno suscitato prese di posizione agguerritissime dei due schieramenti in campo: i produttori tradizionali di contenuti (soprattutto grandi editori e produttori cinematografici) da una parte, i soggetti emergenti del web (a partire dai cosiddetti over the top come Apple e Google) e il pubblico dei consumatori dall’altra. Fra le patate bollenti che si troverà ad affrontare il prossimo presidente dell’Authority questa è sicuramente la più bollente di tutte.

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