Mercato dello streaming video a un passo dalla bolla. O forse no: a patto che i player del settore – Netflix in prima fila – sappiano giocare bene le proprie carte. Individuando nuovi business model equilibrati e cocktail calibrati per contenuti, costi, target, strategie di riferimento. La differenza la farà la capacità di rimanere in equilibrio, con la giusta flessibilità.
Emerge dal report Bcg “Will Peak Tv Burst The Video Content Bubble?” (qui il report integrale), secondo cui la bolla dei contenuti video televisivi è cresciuta vertiginosamente. Negli ultimi 15 anni sono esplosi i budget, fino al record di 160 miliardi di dollari nel 2020, registrando un raddoppio nell’arco di 10 anni. Si sono moltiplicati i player e l’offerta disponibile: ai broadcaster tradizionali e alle piattaforme digitali come Youtube e Dailymotion si sono aggiunti collossi tech come Netflix, Amazon Prime, Apple+ e media come Disney+. Per il 2020 la sola Netflix ha un budget di 17,5 miliardi di dollari, superiore al Pil di 75 Paesi del mondo, per 44mila ore di contenuti video offerti. L’industria TV ha visto nascere nuove geografie, con centri di produzione in Turchia, Corea del Sud e Spagna, e nuovi equilibri, in cui le emittenti classiche rappresentano oggi solo il 65% della spesa per i contenuti (rispetto al 90% di dieci anni fa) e gli Over the Top il 17%.
Nuovi lanci si aggiungono al diluvio di contenuti: si prevede che tre nuovi servizi Ott statunitensi (Peacock, HBO Max e l’imminente Paramount +) aggiungeranno 44.000 ore di programmazione di film e TV alle 53.000 ore disponibili da Hulu e alle 44.000 disponibili da Netflix, insieme con quelli disponibili da altri fornitori.
Verso il picco di produzione
Nel settore si affaccia il timore del picco di produzione di contenuti televisivi, una saturazione dopo di cui si prospetterebbe un declino. Un problema reale, evidenzia Boston Consulting Group, a cui si aggiunge l’aumento dei costi e il rallentamento della produzione imposti dalla pandemia. Il momento del cosiddetto “peak TV” – rileva BCG – non è ancora imminente, ma gli operatori devono attrezzarsi, bilanciando la propria offerta e selezionando con attenzione contenuti, target e costi di produzione.
A suscitare preoccupazione è innanzitutto l’aumento vertiginoso dei costi. In dieci anni la spesa totale per contenuti TV è quasi raddoppiata, passando dagli 87 miliardi di dollari del 2010 ai 160 del 2020 (di cui 39 miliardi per diritti sportivi, 52 per diritti cinematografici e televisivi, 69 per contenuti originali), mentre la quota dei broadcaster è diminuita a vantaggio degli Over the Top. Il pubblico si è abituato a produzioni di alto livello e un singolo episodio di una serie TV costa tra i 10 e i 15 milioni di dollari, uno show della TV via cavo americana 3/4 milioni di dollari. Di conseguenza, la redditività è in calo e non tutte le realtà riescono a fare fronte ai necessari investimenti. Il secondo segnale di allarme è l’eccesso di quantità, che rischia di soffocare gli spettatori con circa 600mila titoli a disposizione (dato USA 2019), che impiegano mediamente 7 minuti di tempo per individuare quello preferito. dopodiché il 58% ha affermato di tornare ai propri canali TV tradizionali preferiti se non è in grado di trovare nuovi contenuti che lo attraggono.
Aumento degli abbonamenti
Nonostante i timori iniziali, però, lo scoppio della pandemia non ha coinciso con lo scoppio della bolla. Al contrario, sono aumentati gli utenti, sono cresciute le ore guardate e le sottoscrizioni alle piattaforme streaming digitali: al primo posto c’è Netflix, con il 24% di abbonamenti, poi Amazon con il 16% e Disney+ con il 15%. Ma la corsa alle sottoscrizioni ha conseguenze sulla tipologia di offerta. Anche a fronte di un prevedibile calo degli utenti al termine della pandemia, le grandi piattaforme di streaming oggi privilegiano la varietà, che fa aumentare il numero di abbonati, alla longevità: più produzioni, per serie TV da due stagioni al massimo. Dal 1991 al 2000 gli show che raggiungevano la sesta stagione erano il 29%, dal 2001 al 2010 il 19%, dal 2010 al 2019 appena il 4%.
Il problema attuale riguarda soprattutto la produzione di nuovi contenuti, resa più difficile dalle restrizioni del lockdown. Lo sport in particolare è il settore più penalizzato, caratterizzato da una forte domanda e da offerta ridotta. La strozzatura porterà a carenze di show nel breve periodo e sovrabbondanza nel medio. La prospettiva di un “peak Tv” è ancora remota: la bolla anche dopo la pandemia non esploderà ma si modificherà a seconda dei luoghi e delle abitudini, orientandosi sulle abitudini dello spettatore.
Continuerà la guerra tra produttori di programmi scripted di alto livello e piattaforme streaming, con costi e qualità ancora in crescita. Cresceranno le piattaforme di contenuti user-generated come quelle di TikTok, Facebook, Twitter (con costi più snelli), oppure offerte di nicchia che sapranno fidelizzare il consumatore. In questo quadro, secondo BCG, i costi continueranno a crescere e tutti i protagonisti del settore dovranno adeguarsi con strategie e business model equilibrati, individuando il giusto cocktail di contenuti, costi, target e strategia di riferimento.