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Digital tax, Gualtieri: “Con Biden auspichiamo ripresa negoziato Ocse”

Ma la posizione della nuova ammministrazione Usa sulla tassazione delle big tech non è così scontata. Il ministro dell’Economia: “Senza il rilancio delle trattative globali, la Ue pronta a fare da sola”

Pubblicato il 19 Nov 2020

roberto - gualtieri

L’Italia spera che le trattative sulla digital tax globale possano riprendere con la presidenza Biden. A dirlo il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri in audizione nelle commissioni riunite Finanze e Politiche Ue del Senato sugli esiti dell’Ecofin. “Il negoziato Ocse si è bloccato per la posizione molto netta degli Stati Uniti di contrarietà alla digital tax – ha spiegato il ministro – Siamo nella fase in cui la posizione italiana e della maggioranza Paesi Ue è di sollecitare una ripresa del negoziato che speriamo possa essere più costruttivo con la nuova amministrazione per cercare di arrivare a una conclusione nei primi mesi del 2021″.

“La nostra posizione, condivisa da quella di altri Paesi – ha osservato Gualtieri – è che se ciò non fosse possibile è chiaro che l’Unione europea deve porsi il tema di agire comunque autonomamente e gia’ sono state presentate proposte dalla Ue, alcune più ambiziose che l’Italia appoggia”. Gualtieri ribadisce quanto affermato nei giorni scorsi dal commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni.

I colossi del digitale sono i veri vincitori della pandemia di Covid-19, dato che “hanno aumentato le loro attività, i loro profitti, le loro capitalizzazioni di Borsa”, e tutto questo convive con un sistema di tassazione che è “del secolo scorso”, basato sulla sede fisica delle imprese – ha sottolineato in audizione in remoto da Bruxelles davanti alle commissioni riunite Finanze e Politiche Ue della Camera del Parlamento italiano –  Se non si arriverà ad una web tax basata su una intesa globale in sede Ocse-G20 entro il primo semestre 2021 la Commissione Europea presenterà una proposta per una  digital tax europea”.

L’intervento di Gentiloni chiarisce ora che l’Europa è disposta a dare un’ultima chance all’accordo internazionale sulla web tax, ma senza concedere più rinvii.

L’anno prossimo sarà l’Italia ad assumere la presidenza del G20, ora affidata all’Arabia Saudita.

Il principale ostacolo al successo dei negoziati Ocse è stata l’uscita degli Stati Uniti dal dibattito lo scorso giugno. Gli Usa di Trump hanno visto la web tax come una misura punitiva per i campioni tecnologici nazionali come Google, Amazon, Facebook e Apple, anche se hanno addotto come motivo per il ritiro dai negoziati l’emergenza coronavirus.

Le elezioni presidenziali aggiungono però nuove incertezze al quadro. Nella sua campagna il presidente eletto Joe Biden ha indicato di voler imporre tasse più alte sulle aziende degli Stati Uniti, ma che questo implichi un atteggiamento favorevole nei confronti della web tax internazionale non è affatto ovvio. Pur essendosi dichiarato pronto alla collaborazione internazionale, molti esperti dubitano che tra le prime mosse di Biden vi sarà lo sblocco dei negoziati in sede Ocse.

Il lungo percorso della digital tax

L’intesa internazionale sulla web tax era attesa per la fine del 2020, ma a metà ottobre è stato annunciato uno slittamento di sei mesi a causa, da un lato, del rallentamento dei lavori causato dall’emergenza sanitaria Covid-19, dall’altro delle divergenze politiche emerse nel corso del negoziato, che coinvolge ben 137 Paesi.

Un corposo rapporto di aggiornamento pubblicato dall’Ocse in vista della riunione dei ministri delle Finanze e dei governatori delle Banche centrali del G20 del 14 ottobre scorso ha evidenziato i “consistenti progressi” nella trattativa multilaterale per una riforma della fiscalità internazionale che risponda alle sfide della digitalizzazione dell’economia, ma ha anche messo l’accento su “questioni politiche e tecniche” irrisolte.

La web tax nell’accordo Next Generation Ue

A luglio Paolo Gentiloni, ha presentato il pacchetto sulla cooperazione fiscale Ue che rappresenta un primo passo per la creazione – almeno nelle intenzioni della Commissione – di un’area fiscale comune. Al centro della strategia la collaborazione amministrativa tra gli Stati membri per combattere l’abuso fiscale, ad esempio attraverso controlli fiscali congiunti.

La Commissione stima che le perdite annuali di entrate nell’Ue dovute evasione fiscale internazionale da parte di privati è stata sia di 46 miliardi di euro, l’elusione dell’imposta sulle società di oltre 35 miliardi e le frodi sull’Iva transfrontaliere a di 50 miliardi.

Nell’accordo sul Next Generation Eu dovrebbe invece vedere la luce la tassa sui colossi del web che potrebbe fruttare fino a 1 miliardo di euro l’anno. Il lavoro dell’Ocse per la tassazione delle aziende “con una presenza digitale significativa” ne dovrebbe costituire la base di partenza. Senza un accordo Ocse l’Europa procederà da sola.

Pil a rischio senza riforma fiscale condivisa

La riforma della fiscalità internazionale sui colossi del mondo digitale è parte integrante del progetto Beps (Base erosion and profit shifting), finalizzato a garantire che il pagamento delle tasse avvenga nel luogo in cui avvengono effettivamente le attività economiche: un metodo per contrastare il trasferimento degli utili societari verso Paesi con una fiscalità agevolata, o addirittura inesistente, a danno della base imponibile in molti Paesi in cui grandi conglomerati globali operano attraverso controllate. Con questa revisione fiscale, in particolare, ci si pone l’obiettivo di definire quanto, dove e come tassare i giganti del web. Una necessità resa ancor più stringente – come evidenziato a ottobre da un rapporto Ocse.

L’assenza di una soluzione basata sul consenso potrebbe infatti portare a una proliferazione di tasse unilaterali sui servizi digitali e a un aumento delle controversie fiscali e commerciali dannose, che minerebbero la certezza fiscale e gli investimenti, ha affermato l’Ocse. Nello scenario peggiore – una guerra commerciale globale innescata da tasse unilaterali sui servizi digitali in tutto il mondo – il mancato raggiungimento di un accordo potrebbe ridurre il Pil globale di oltre l’1% all’anno.

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