Il digitale è uno straordinario strumento per ridisegnare le geografia e l’economia delle città e dei territori. Alla vigilia della presentazione di ICity Rank 2020, Gianni Dominici, direttore generale di FPA, spiega come la pandemia da Covid-19 ha contribuito ad accelerare i processi di trasformazione urbana e a tracciare la strada per il futuro.
Dominici, l’emergenza sanitaria ha fatto saltare i modelli di città: smart working, didattica a distanza sono tutte modalità che ci hanno consentito di vivere in modo diverso lo spazio urbano. Cosa è successo?
Il lockdown prima e le restrizioni successive hanno costretto le persone a fare ricorso a queste modalità di gestione delle attività. Le grandi città hanno perso la loro centralità a favore dei centri più piccoli, compresi quelli del Sud Italia. Con la conseguenza che nelle aree, prima considerate “marginali”, la connettività ha galoppato così come il ricorso ai servizi digitali.
E questo cosa significa?
Che attraverso il digitale e le reti di Tlc veloci quei territori possono alimentare un nuovo modello di sviluppo più resiliente, più verde e anche socialmente più equo. Abbiamo l’occasione di far rivivere intere aree del Paese dimenticate da almeno 20 anni: mi riferisco alle periferie delle grandi città, svuotate di attività produttive che si sono progressivamente spostate al centro determinando un’ipertrofia del mercato immobiliare con conseguenti bolle. Ma anche ai piccoli centri, soprattutto quelli del Sud, che negli anni hanno perso talenti, competenze e capacità. Diventando sempre meno attrattivi per gli investimenti. Ecco, grazie a investimenti in digitale e banda larga possiamo eliminare lo storico gap tra centro e periferia e tra Nord e Sud che ha zavorrato la crescita equilibrata dell’Italia.
Ma questo ha impatto anche sulle relazioni tra le persone. Non si rischia una “disumanizzazione”?
Non mi piace la dicotomia tra analogico e digitale, tra carte e web. Il futuro deve essere immaginato in forma ibrida. In questo senso è cruciale che le città diventino delle piattaforme abilitanti dove fruire non solo di servizi innovativi ma anche dove realizzare nuovi modi di fare economica e socialità. Un esempio? La creazione di social hub: luoghi dove la cittadinanza attiva può confrontarsi e collaborare insieme alle istituzioni per incidere sulle scelte politiche e strategiche.
All’Italia spettano oltre 200 miliardi del Next Generation Eu. Dove bisognerebbe investire per disegnare una nuova geografia delle città e dei territori?
L’Anci nella sua proposta per il Recovery Plan ha evidenziato la necessità di potenziare le reti digitali per superare un divide ormai del tutto ingiustificabile. Altro tema chiave sono i big data: i Comuni avvertono la necessitò di rendere intelligenti le città attuando un piano nazionale per la diffusione e l’utilizzo dei big data pubblici come fattore determinante per la crescita economica e culturale dell’Italia e dei suoi cittadini. In realtà nel Pnrr ci sono quasi 50 miliardi destinati a interventi di digitalizzazione…
Sono sufficienti?
Il punto non è tanto il quantum di risorse quanto la visione strategica di quello che il Paese vuole diventare, investendo sull’innovazione urbana.
E allora?
L’elemento centrale di questo processo di trasformazione, che è anche economica e sociale, è il ruolo che può svolgere la PA che deve diventare abilitatore di cambiamento ovvero creare le condizioni perché i territori siano in grado di generare innovazione. Deve dunque diventare soggetto proattivo, ingaggiando tutti i diversi attori pubblici e privati, realtà del non profit, nella progettazione di questi nuovi spazi urbani. Perché sono questi spazi, rinnovati e trasformati, quelli in cui si vince la sfida del Next Generatio Eu. Se la PA si mette il cappello di “piattaforma abilitante” definendo le priorità strategiche, mettendo in connessione tutti i player in campo e valorizzando i talenti, tanti, che lì operano allora l’Italia sarà in grado di vincerla questa sfida. Il punto cruciale non sono i progetti, ma la visione e il metodo.
Domani FPA presenta ICity Rank. Quali sono le novità di questa edizione?
Nell’anno della pandemia, abbiamo deciso di tralasciare gli indicatori sociali ed economici per concentrarci sul di trasformazione digitale delle città italiane, analizzando le performance dei 107 comuni capoluogo su 8 indicatori aggiornati al 2020: accessibilità online dei servizi pubblici, disponibilità di app di pubblica utilità, adozione delle piattaforme digitali, utilizzo dei social media, rilascio degli open data, trasparenza, implementazione di reti wifi pubbliche e tecnologie di rete intelligenti. L’indice di trasformazione digitale, media aritmetica degli 8 indicatori settoriali, ci ha permesso di costruire il ranking delle città più digitali d’Italia.