La scia di polemiche che ha seguito l’assalto dei sostenitori di Donald Trump a Capitol Hill, a Washington, dove era prevista la riunione di Camera e Senato per la ratifica dell’elezione di Joe Biden alla Presidenza degli Stati Uniti, si è negli ultimi giorni concentrata suo ruolo dei social network. Piattaforme su cui hanno viaggiato finora indisturbate una serie di fake news che a detta di autorevoli analisti e addetti ai lavori hanno favorito l’ascesa al potere di Donald Trump, il presidente uscente, e che avrebbero avuto un ruolo centrale proprio per l’organizzazione della manifestazione finita con l’assalto al parlamento e con quattro vittime. Nei giorni seguenti le principali piattaforme social, come Facebook e Twitter, hanno sospeso i profili attraverso i quali il presidente uscente interagiva con i propri follower, e questo ha causato una serie di dubbi e di polemiche sul ruolo dei social media e sulla possibilità che le stesse aziende possano decidere a chi dare e a chi togliere voce. Da una parte di è parlato di un controllo “responsabile” dei contenuti che vengono pubblicati da terzi sulle piattaforme, dall’altra si è gridato alla censura e alla violazione della libertà di espressione. Mentre attorno alla questione aleggia in generale anche l’eventualità di un controllo “imparziale” sui contenuti che garantisca i diritti degli utenti, una sorta di “authority” che stabilisca dove e in che termini sia giusto intervenire, slegata dalla proprietà delle piattaforme.
La polemica intanto è stata rinfocolata nelle ultime ora anche dalla chiusura di “Parler”, la piattaforma social utilizzata in prevalenza dai fan di Trump e dell’estrema destra populista: il social è andato offline dopo che era stato escluso da Apple, Google e Amazon.
Ma torniamo al Parlamento Europeo: tra i deputati è sempre più chiaro il fatto che il ruolo dei social sulla formazione del consenso sia crescente e possa essere a volte determinante, come accaduto a più riprese negli ultimi anni in America. Per questo è importante che le piattaforme siano messe di fronte alle proprie responsabilità e si comportino con il massimo della trasparenza.
Secondo l’alto rappresentante Ue Josep Borrell “occorre poter regolamentare meglio i contenuti dei social network, rispettando scrupolosamente la libertà di espressione”, ma “non è possibile che questa regolamentazione sia attuata principalmente secondo regole e procedure stabilite da soggetti privati”.
“Le rivolte di Washington sono in larga parte state alimentate dalle teorie cospirazioniste che si sono diffuse online, che sono riuscite a incrinare la fiducia di molti cittadini americani sulle loro principali istituzioni democratiche – afferma l’eurodeputato belga di centrodestra Kris Peeters – il nostro Digital Services Act europeo può significativamente migliorare la trasparenza e le regole, in modo che possiamo proteggere i cittadini dai rischi, specialmente nei confronti della diffusione e dell’amplificazione della disinformazione”. Il Digital Services Act prevede infatti multe particolarmente alte, fino al 6% del fatturato annuo, nel caso in cui vengano violate le norme sulla trasparenza della pubblicità, quelle sulla rimozione dei contenuti illegali e quelle sull’accesso ai dati.
I legislatori europei dovrebbero guardare con più attenzione alla diffusione di contenuti falsi secondo Alex Agius Saliba, europarlamentare socialista, che riferndosi ai disordini di Washington ha parlato di “un attacco alla democrazia e al ruolo della legge. Le attività digitali che vengono messe in atto per massimizzare l’attenzione degli utenti basate su contenuti illegali o sensazionalisti hanno bisogno di essere trattate con grande attezione all’interno del Digital Services Act”.
La polemica sui social e sul loro ruolo intanto si rinfocola su scala globale: a motivare l’esclusione di Parler decisa da Apple, Amazon e Google è stata di non aver preso le misure necessarie per affrontare le minacce di odio e violenza in seguito all’assalto al Congresso. Proprio nelle ultime ore, prima che il social finisse offline, il numero uno della Lega Matteo Salvini aveva annunciato la propria adesione alla piattaforma. Dura la reazione dell’Ad di Parler, Joh Matze: “Big Tech vuole uccidere la concorrenza, e ha messo in atto uno sforzo coordinato per rimuovere la libertà di parola da internet”.
Intanto diversi costituzionalisti hanno tenuto a sottolineare che l’esclusione del presidente Usa uscente da Facebook e Twitter, come anche quella di Parler dai principali app store, non può essere interpretata come una violazione della libertà di espressione e quindi del primo emendamento, dal momento che la norma si applica al Governo e non alle società private: potrebbe quindi valere per i follower bloccati in passato dal presidente, in quanto carica istituzionale, e per questo ci sono cause in atto, con un ricorso che è arrivato fino alla Corte Costituzionale.