Uno degli assi su cui si basa l’idea di Smart City sono i suoi abitanti: Smart People è una popolazione resa tale non tanto dall’accesso facilitato alle informazioni abilitato dalle tecnologie utilizzate, quanto da un sistema educativo in grado di superare i limiti delle attuali metodologie di insegnamento.
In uno scenario in continuo mutamento come quello odierno, le tecniche tradizionali – lezioni in aula e studio individuale delle nozioni – divengono gradualmente inadeguate a fornire agli studenti gli strumenti per vivere una vita attiva e piena, e una carriera professionale feconda.
L’avvento di Internet e delle tecnologie digitali è un’occasione senza precedenti per arricchire la vita intellettuale dei giovani, ma anche una minaccia all’efficacia degli insegnamenti loro impartiti: se è facile vedere i vantaggi dell’accesso ad informazioni multimediali e a strumenti digitali per produrle e condividerle, rimane in ombra la profonda crisi che le metodologie di insegnamento basate su aule, compiti a casa e verifiche, stanno affrontando. Per un verso, i professori devono scontrarsi con l’arroganza di alunni convinti di sapere tutto grazie all’aiuto di Google e Wikipedia; per altro verso gli studenti devono adeguarsi ad un sistema statico e basato sull’autorità di testi e docenti talvolta poco aggiornati, che mal si concilia con le possibilità offerte loro dalla tecnologia. Il risultato è l’impoverirsi progressivo dell’insegnamento scolastico.
Vi è il bisogno di un’innovazione a tutto tondo, che non si basi sulla mera applicazione di tecnologie, ma su una vision condivisa circa le priorità didattiche della scuola, che contempli un common core di competenze necessarie per affrontare il fiume di informazioni non gerarchizzate reperibili via Internet: pensiero critico, capacità di filtro e di verifica, ma soprattutto capacità di correlare, sviluppare e comunicare; in una parola, la capacità di pensare.
I progetti attivati a livello centrale sono invece focalizzati di volta in volta sulla fornitura di gadget elettronici, come nel caso della famigerata lavagna multimediale Lim, e Cl@ssi2.0, per laptop e tablet in aula, o sulla formazione dei docenti su Office ed Internet – progetti ForTic e DigiScuola – senza mai concentrarsi né sulla natura dei contenuti né sul modo di presentarli, né tantomeno sui diversi modi in cui gli studenti li apprendono. Manca uno sforzo innovativo che si allontani – finalmente – dal modello del cd-rom didattico che puntava ad arricchire l’insegnamento classico con una “sporcata” di multimedia, e che abbracci le reali possibilità offerte dalle tecnologie in termini di narrazione ed immersività.
Gli stessi ambienti di e-learning più popolari risentono del medesimo problema: la possibilità di inanellare “pezzi” di insegnamento (i famosi Learning Objects), per quanto ben progettati, non garantisce al docente un insegnamento più efficace, sottraendogli peraltro il controllo della dimensione narrativa – l’abilità di evidenziare e nascondere elementi a seconda della chiave di lettura adottata. Vi è la necessità di introdurre insegnamenti che includano elementi “esperienziali”: dalla memorizzazione di contenuti teorici si deve passare ad un approccio basato sul problem-solving, sulla simulazione di situazioni realistiche, sulla condivisione e sullo sviluppo di soluzioni cooperative. È quel che accadrà in Corea, nella Smart School Charmsaem Elementary, a Sejong City: seppur espressione di un modello fondamentalmente IT-driven, il progetto privilegia l’osservazione, la pratica, la discussione ed il gioco, nella trasmissione di un range ampio di conoscenze.
A fronte di un impulso pubblico all’innovazione nella scuola insoddisfacente, sono stati spesso i docenti i promotori delle poche innovazioni sul campo, perlopiù in modo sporadico ed isolato, senza un reale riconoscimento a livello centrale. MyInnova – parte del più ampio progetto governativo InnovaScuola – è una lodevole iniziativa volta a riconoscere e catturare il contributo dei professori all’innovazione nella scuola: è un social network pensato per facilitare la circolazione di buone idee e la collaborazione tra i docenti, e per supportare l’attività quotidiana di organizzazione del lavoro, ivi compresa la ricerca di Learning Objects e materiali didattici “certificati”.
La speranza, condivisa, è che il vento nuovo dell’Open Innovation sia in grado di svecchiare una scuola ormai non più in grado di tenere il passo con una società sempre più rapida e complessa.