Non tarda la risposta di Google al fuoco incrociato degli Stati Usa su presunti comportamenti anti-competitivi nel mercato della pubblicità online. Il colosso di Mountain View è sotto la lente delle autorità antitrust per la sua partnership con Facebook, il principale concorrente nell’advertising digitale.
In un blog post, il director of economic policy di Google Adam Cohen definisce “fuorviante” la causa intentata da 10 Stati a guida Repubblicana e che cita Facebook come “co-cospiratore” (ma non come imputato). Cohen sottolinea con forza che Google non manipola le aste delle ads a favore di Facebook.
Google deve vedersela con altre due cause: una intentata da un altro gruppo di Stati Usa, l’altra condotta a livello federale dal dipartimento di Giustizia.
L’attacco degli Stati Usa
Le accuse sulla partnership tra Google e Facebook
L’intervento del top manager di Google Cohen fa seguito a un articolo pubblicato dal New York Times in cui si forniscono dettagli del presunto accordo con Facebook.
Secondo il Times, nel 2017 Google era entrata in allarme per l’ingresso di Facebook sul mercato delle ads e considerava il social media una “minaccia alla sua esistenza”. Facebook stava valutando un progetto di header bidding, un modo di acquistare le pubblicità che avrebbe permesso agli editori di slegarsi dalla dipendenza dalle piattaforme di Google. Il progetto di Facebook è stato tuttavia accantonato dopo l’accordo raggiunto dalle due aziende nel 2018 e con cui Facebook è diventata partner dell’Open Bidding project di Google. Questo progetto consente la convivenza col mercato delle ads di Big G di altri mercati concorrenti, come quello di Facebook, che però devono pagare una fee a Google quando una loro proposta viene accettata e si aggiudicano delle inserzioni.
L’accusa sostiene che tale accordo concede numerosi privilegi a Facebook ai danni del resto della concorrenza in quanto offre termini di cui gli altri partner del progetto non godono. Google darebbe infatti a Facebook più tempo per piazzare offerte sulle ads rispetto agli altri membri dell’Open Bidding project, più dati sugli attori attivi sul marketplace e vantaggi economici sulle offerte. Le due partner avrebbero anche convenuto di “cooperare e aiutarsi” nel caso in cui l’accordo fosse finito nel mirino delle autorità antitrust.
La replica delle due aziende
Cohen risponde difendendo Open Bidding come strumento che avvantaggia gli editori. L’accordo con Facebook, afferma il top manager di Google, è stato reso pubblico e si limita a permettere al social media e ai suoi inserzionisti di partecipare ad Open Bidding. Cohen ha sottolineato con forza che Google non manipola le aste delle ads a favore di Facebook. E l’accordo obbliga comunque Facebook e la sua advertising network a piazzare l’offerta più alta per vincere una pubblicità. Cohen aggiunge che le commissioni che Google per gli inserzionisti sono più basse rispetto alla media dell’industria.
“Partnership come questa sono comuni nel settore e abbiamo accordi simili con diverse altre aziende”, ha replicato Facebook in una nota ufficiale. “Facebook continua a investire in queste alleanze e a crearne di nuove, perché aiutano ad accrescere la concorrenza sul mercato delle aste per le ads e a garantire i risultati più vantaggiosi per inserzionisti e editori. Qualunque supposizione che tali accordi danneggino la concorrenza è infondata”.