Uber difende il proprio modello di business di fronte ai regolatori dell’Unione europea: la sua attività è quella di una piattaforma tecnologica e i suoi collaboratori non possono essere classificati come dipendenti, bensì lavoratori autonomi. In un white paper rivolto alla Commissione europea l’azienda del ride hailing ha illustrato la sua posizione in vista della consultazione che si terrà il 24 febbraio e in cui Bruxelles cercherà di raccogliere commenti e valutazioni dai lavoratori e dai sindacati della gig economy.
L’Ue è pronta a imporre nuove regole per proteggere il lavoro nell’economia “dei lavoretti”.
Uber concorda con questo punto di vista ma chiede ai regolatori di riconoscere il valore dei contratti di lavoro autonomo nella creazione di posti di lavoro. E di creare tutele per i gig worker senza riclassificarli come dipendenti.
Modello California per la gig economy
Nel white paper Uber si rivolge alla commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager, al commissario al lavoro Nicolas Schmit e ad altri rappresentanti dell’esecutivo europeo. La soluzione chie viene proposta dall’azienda guidata dal ceo Dara Khosrowshahi ricalca quella adottata in California: creare un quadro di riferimento per i lavoratori della gig economy che protegge autisti e rider che operano tramite un’app mobile ma senza che siano considerati dei dipendenti.
La California ha infatti messo a referendum lo scorso novembre un quesito sullo status dei gig worker e la posizione favorevole al mantenimento dello status di collaboratori autonomi (Proposition 22) ha vinto. Tuttavia lo stato Usa ha ampliato gli obblighi per le aziende del ride hailing in termini di assicurazione, salario minimo, massimo di ore consecutive di lavoro.
Il prossimo test sarà il 19 febbraio, quando la Corte suprema del Regno Unito emanerà le nuove regole per il mondo del lavoro.