CONFINDUSTRIA DIGITALE

Stefano Parisi: “Troppi emendamenti, spending review a rischio”

Il presidente di Confindustria Digitale lancia l’allarme. “L’eccesso di norme fa perdere il senso innovativo dei provvedimenti e ostacola i processi di digitalizzazione della PA”. E avverte: “Per qualificare la domanda pubblica servono regole chiare e trasparenti”

Pubblicato il 30 Lug 2012

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“L’azione strategica intrapresa in questi mesi dal governo Monti, a favore della digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni e per la riduzione dei costi, rischia di essere stravolta dalla moltiplicazione delle norme che si stanno aggiungendo nel corso dell’iter parlamentare di approvazione dei decreti”. Stefano Parisi, presidente di Confindustria Digitale esprime preoccupazione di fronte al pericolo che la fretta, le resistenze delle burocrazie e le logiche di parte frammentino l’azione riformatrice, producendo un quadro normativo contradditorio, limitante la libertà d’impresa e, in ultima analisi, incapace di un produrre efficienza, modernizzazione e risparmi effettivi nella macchina pubblica. In altre parole l’industra dell’Ict teme uno stavolgimento della filosofia che anima il provvedimento di spending review.

Secondo Parisi “alcuni emendamenti, risultano spesso in contrasto con lo spirito innovatore dei provvedimenti dell’esecutivo, generando confusione nel settore pubblico che, al contrario, ha profondamente bisogno di innovazione, trasparenza e semplificazione”.

“La riduzione dei costi della amministrazione pubblica – sottolinea Parisi – non si ottiene con il “massimo ribasso”, ma procedendo alla digitalizzazione “end to end” dei servizi, alla razionalizzazione e interoperabilità delle banche dati fino all’erogazione dei servizi al cittadino e alle imprese via web. E’ questo il processo che permette di ridurre gli sprechi e le inefficienze in modo strutturale, generando significativi risparmi di spesa che, secondo le nostre stime, possono essere di almeno 2 punti di Pil, pari ad oltre 30 miliardi di euro in quattro anni”.

Per raggiungere questi obiettivi “é necessario – dice il presidente di Confindustria Digitale – un quadro normativo trasparente che porti alla qualificazione della domanda pubblica, basato sulla logica di valutazione economica dei costi/benefici e non certo su meccanismi di massimo ribasso o di discriminazioni normative che penalizzano la competitività e la vivacità del mercato dell’innovazione tecnologica, mentre tendono a perpetuare una domanda pubblica opaca e squalificata”.

Il 26 lugglio la commissione Bilancio del Senato ha votato un emendamento bipartisan che fa saltare l’automatismo per la vendita delle società in-house degli enti locali, comprese quelle dell’Ict.

La novità, che scardina l’automatismo previsto nel testo originario del provvedimento, è quello che prevede che entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, le pubbliche amministrazioni interessate possano predisporre appositi piani di ristrutturazione e razionalizzazione delle società controllate. Questi piani dovranno essere approvati dal commissario straordinario Enrico Bondi e possono prevedere la individuazione delle attività connesse esclusivamente all’esercizio di funzioni amministrative che potranno continuare ad essere svolte in house.

Con l’emendamento si prevede che qualora esistano “peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche” che rendono non efficace e utile il ricorso al mercato, le amministrazioni interessate dovranno fare un’analisi di mercato e trasmetterne gli esiti all’Antitrust che renderà un parere vincolante che sarà a sua volta trasmesso alla presidenza del Consiglio.

L’emendamento stabilisce inoltre che, in caso di scioglimento entro il 31 dicembre 2013, gli atti e le operazioni posti in essere in favore delle pubbliche amministrazioni sono esenti da imposizione fiscale, fatti salvi l’Iva e l’assoggettamento in misura fissa alle imposte di registro, ipotecarie e catastali. Nel caso invece di cessione, il servizio sarà assegnato per cinque anni “non rinnovabili” e il bando dovrà considerare, tra gli elementi di valutazione dell’offerta, l’adozione di strumenti di tutela dell’occupazione. Viene anche esplicitato che “l’alienazione deve riguardare l’intera partecipazione della pubblica amministrazione controllante”.

La proposta allunga anche di un anno, dal 31 dicembre 2013 al 31 dicembre 2014, gli affidamenti diretti vigenti. Infine viene previsto che, oltre ad essere escluse le società quotate e le loro controllate, queste misure non si applicano alle Spa pubbliche che prestano il servizio di gestione del risparmio.

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