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Telelavoro, Italia in forte ritardo

In Gran Bretagna le Olimpiadi un’occasione per sperimentare in maniera massiccia il lavoro a distanza nella PA. In Italia invece siamo ancora all’anno zero. Linda Gilli (Ad di Inaz): “Problema culturale: molti datori di lavoro vogliono il dipendente in ufficio”

Pubblicato il 31 Lug 2012

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La vita degli abitanti di Londra durante le Olimpiadi cambierà profondamente, per molti anche dal punto di vista lavorativo. Per evitare che traffico e trasporti vadano in tilt nella città invasa dai visitatori per i Giochi, fino al 9 settembre, quando termineranno anche le Paralimpiadi, i dipendenti della pubblica amministrazione possono lavorare da casa. E il 50% delle aziende private ha intenzione di concedere al proprio personale una maggiore flessibilità. “Una decisione che avrà ricadute positive sulla vivibilità della città – spiega Linda Gilli, amministratore delegato di Inaz, società che si occuparsi di software e servizi per l’amministrazione del personale e la gestione delle risorse umane. e che farà scoprire a tanti londinesi un sistema con cui i dipendenti possono conciliare famiglia e lavoro mentre le aziende risparmiano, senza perdere in produttività”.

Ma in Italia si potrebbe anche solo pensare una cosa del genere? “Nel nostro Paese il telelavoro stenta ad affermarsi – continua Gilli – Una ricerca Isfol Plus del 2008 che rileva che le aziende italiane che prevedono il telelavoro sono il 4,3%. Sarebbero quindi 770mila dipendenti che in teoria potrebbero lavorare da remoto, ma solo 55mila adottano realmente questo sistema”. Eppure anche noi abbiamo la tecnologia e il software per costruire, con il telelavoro, un vero e proprio accordo “win-win” per dipendenti e aziende. I primi sarebbero in grado di lavorare in rete, da qualunque luogo e in qualunque orario, senza dover fare i salti mortali per seguire la famiglia; le seconde risparmierebbero sui costi di gestione delle sedi e aumenterebbero l’efficienza grazie alla flessibilità. Per non parlare degli effetti positivi su traffico, inquinamento e trasporti per i pendolari.

Che cosa frena il diffondersi del telelavoro in Italia? Secondo Gilli nel nostro Paese fatica a stabilirsi un rapporto di fiducia tra lavoratore e azienda: “Molti datori di lavoro non riescono a fare a meno della presenza in ufficio e della timbratura del cartellino per controllare il dipendente. Certo, il rapporto faccia a faccia è indispensabile. Anche quando si lavora a distanza è necessario programmare, in modo accorto e costante, una serie di incontri diretti in sede, indispensabili per organizzare il lavoro, per valutare i progetti in corso e per non perdere mai il contatto personale che è alla base di ogni rapporto sereno e produttivo. Ma oggi abbiamo tanti strumenti che possono fare del telelavoro un’opzione praticabile: dai software per rilevazione presenze, anche su dispositivi mobili, a soluzioni come il Portale del Dipendente con cui i lavoratori hanno sempre un filo diretto con l’azienda. Così il lavoro da remoto può essere una scelta vincente”.

In ultima analisi, però, il ritardo italiano sul telelavoro, più che tecnologico, è culturale. “Orari, servizi e stili di vita nella nostra società – osserva Gilli – sono ancora, in larga parte, pensati come se ogni lavoratore a tempo pieno avesse al proprio fianco qualcuno che contemporaneamente si occupasse di casa e famiglia. Una cosa completamente al di fuori della realtà”.

Sul versante normativo va ricordato che il legislatore, al fine di favorire la diffusione del telelavoro, prevede con la Legge di stabilità 2012 (art. 22, c. 5), misure di incentivazione per le aziende intenzionate a percorrere la strada della flessibilità. “Il contratto di telelavoro -spiega Stefano Fabiano, responsabile Centro Studi e Formazione di Inaz – si basa su un accordo volontario tra impresa e lavoratore e può nascere dalla trasformazione di un contratto tradizionale, se una delle parti lo richiede e l’altra acconsente. Il telelavoratore ha le stesse garanzie e gli stessi diritti che spettano a chi lavora nella sede aziendale per quanto riguarda retribuzione, carriera, carichi di lavoro, formazione, salute e sicurezza professionale”.

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