Continua la caduta libera di Facebook. In 90 giorni di scambi il valore di mercato di Facebook è calato di 50 miliardi di dollari, più di quanto bruciato in termini di capitalizzazione di borsa da Lehman Brothers nell’intero anno che ha preceduto la bancarotta. Ieri la società ha toccato in borsa i nuovi minini a 18 dollari per azione, ovvero 20 dollari in meno rispetto al prezzo fissato dall’ipo.
Mark Zuckerberg ha fatto sapere di non voler svendere il proprio portafoglio “per almeno 12 mesi”. Il ceo di Facebook lo ha dichiarato ufficialmente in un documento depositato alla Security and Exchange Commission Usa. Le dichiarazioni del fondatore hanno fatto salire oggi le azioni del 3%.
La corsa al ribasso del social network si contrappone a quella al rialzo di Apple, che vale 624 miliardi di dollari, più di tutte le società quotate di Portogallo, Grecia, Irlanda e Spagna insieme.
Secondo il New York Times la flessione di Fb “non sta creando problemi solo agli investitori, ma sta creando dubbi anche all’interno della società sulla sua capacità di mantenere e attrarre ingegneri talenti, che sono la linfa vitale di ogni società tecnologia”. La colpa della dèbacle – afferma il Nyt – dell’ipo è del chief financial officer David Ebersman che, pur non essendo conosciuto come l’amministratore delegato Mark Zuckerberg o come il chief operating officer Sheryl Sandberg, è l’uomo che ha gestito lo sbarco in Borsa, autorizzando il prezzo di 38 dollari per azione dopo la società aveva inizialmente identificato una forchetta fra i 29 e i 34 dollari per azione. Inoltre è l’uomo che ha deciso di immettere sul 25 milioni di azioni in più nei giorni finali che hanno preceduto la quotazioni.
Esberman avrebbe dovuto – analizza New York Times – valutare meglio quanto accaduto con LinkedIn, il cui prezzo è salito del 110% nel primo giorno di contrattazioni
Le difficoltà in cui versa Facebook hanno portato gli analisti a vedere al ribasso le stime. Bank of America ha taglito i target del 34% a causa delle pressioni per la scadenza degli accordi di lockup che hanno evitato finora che gli investitori vendessero titoli. Morgan Stanley ha tagliato le stime per i prossimi 12 mesi del 16% mentre J.P. Morgan del 33%.