Lo smart working non è un affare per donne. È quanto emerge dal report della School Of Gender Economics di Unitelma-Sapienza che sarà presentato il 30 aprile e di cui CorCom anticipa i dati salienti.
La fotografia che emerge è quella di lavoratrici connesse per troppo tempo, stressate ed alienate.
Per il 60% delle intervistate il carico di lavoro retribuito in smart working è aumentato mentre è del 40% la percentuale delle donne che non dispone in casa di una postazione dedicata al lavoro, ma è costretta a postazioni variabili di giorno in giorno.
Per la maggior parte delle lavoratrici, sono aumentate sensibilmente le ore dedicate al lavoro retribuito ed è aumentato in misura minore anche il tempo dedicato alle attività di cura non retribuita. Allo stesso tempo, si è ridotto considerevolmente il tempo per sé e ciò avviene anche perché il 25% delle donne lavoratrici si fa totale carico delle attività di cura non retribuite.
Uno degli effetti più evidenti dell’incremento del carico di attività retribuita e non retribuita che grava sulle donne che lavorano in modalità di smart working è la maggiore difficoltà nel separare il tempo del lavoro dal tempo di cura, che viene sperimentata dal 60% delle intervistate.
Nel dettaglio, in ragione del sovraccarico di lavoro retribuito e non retribuito, le intervistate dichiarano di essere costrette a rinunciare per il 72% alla cura di sé, per il 76% ai propri hobby ed allo sport, per l’80% a dei momenti di riposo.
“Alla luce di questi dati è necessario- si legge nello studio redatto dal professoressa Azzurra Rinaldi, direttrice della Gender School of Economics e dalla dottoressa Nicoletta Maria Capodici – che nella pianificazione strategica per il futuro si eviti che il lavoro agile diventi una misura specificamente rivolta alle donne, come già sostanzialmente avvenuto per il part-time – ricordiamolo, nella maggior parte dei casi è involontario, ovvero viene richiesto dalle donne proprio perché si fanno carico pressoché esclusivo delle attività di cura non retribuita”.
“Il rischio maggiore risiede nella possibilità che le lavoratrici si trovino ‘costrette’ alla scelta dello smart working e che su di loro ricada un peso ancora maggiore derivante dalla combinazione delle attività di cura non retribuita con le mansioni relative alle attività retribuite – si spiega -Per evitare questa occorrenza, è necessario ripensare la cura, a partire da una nuova consapevolezza: siamo tutte e tutti sia beneficiari che prestatori di cura, nelle nostre vite quotidiane. E proprio sulla cura si basa la stessa riproduzione sociale. Pertanto, è necessario favorire una transizione culturale che passi anche attraverso l’adozione di nuove leggi che promuovano la condivisione della cura, come ad esempio potrebbe essere una legge sull’equiparazione della durata del congedo di paternità obbligatorio a quella del congedo di maternità obbligatorio. Infine, per ripensare la cura, è indispensabile rimetterla al centro non solo del dialogo pubblico, ma anche degli investimenti necessari al futuro del paese: è ormai noto che si tratti di un settore ad alto potenziale moltiplicativo. Ed è innegabile che il nostro Paese ne abbia bisogno”.
Come spiega a CorCom Azzurra Rinaldi, “il quadro che emerge dalla ricerca è estremamente complesso. Per il 60% delle intervistate, il carico di lavoro retribuito in smart-working è aumentato, così come è aumentato il carico delle attività di cura non retribuite. E, dal momento che il 75% delle lavoratrici intervistate dichiara di farsi carico totalmente delle attività di cura non retribuita, senza poter contare su alcun tipo di supporto, non può stupire che lo smart-working venga da loro definito come “stressante” “complicato” ed “alienante”. ”
Il diritto alla disconnessione
Il sovraccarico delle attività accende i riflettori sul“diritto alla disconnessione” sul quale in Italia si è aperto un ampio dibattito: norma necessaria a tutelare la salute del lavoratore o norma che rischia di snaturare la caratteristica stessa dello ssmart working che prevede di lavorare per obiettivi e non su orari? Intanto la Camera rilancia: le commissioni Lavoro e Affari sociali della Camera hanno approvato un emendamento al decreto Covid che riconosce “alla lavoratrice o al lavoratore che svolge l’attività in modalità agile il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati”. La disconnessione “non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi”. Per la PA resta la disciplina dei contratti collettivi.
“L’approvazione di un emendamento M5s al decreto Covid per riconoscere il diritto alla disconnessione al lavoratore con un figlio minore di 16 anni in didattica a distanza che, alternativamente all’altro genitore, svolge l’attività in modalità agile rappresenta un passo importante sul fronte dei diritti dei lavoratori e nell’ottica di un aggiornamento della disciplina del lavoro agile, anche e soprattutto alla luce di quanto è avvenuto durante la pandemia – dicono le deputate e i deputati del MoVimento 5 Stelle in commissione Lavoro – Siamo molto soddisfatti perché per la prima volta in un testo normativo si parla di ‘diritto alla disconnessione’. In questo modo non solo tuteliamo i tempi di riposo e la salute del lavoratore, ma lo facciamo senza che vi siano ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi. Superata la fase dell’emergenza, sul tema sarà necessario confrontarsi per far sì che questo diritto venga riconosciuto a tutti in modo stabile”.