Diciamolo tranquillamente: il successo clamoroso, il perfetto funzionamento, l’impeccabile atterraggio sul suolo di Marte della sonda automatica Curiosity è una vera e propria manna dal cielo per la Nasa e per gli Stati Uniti. Quella “tonnellata di bravura americana grande quanto un’automobile” in funzione da qualche settimana sul Pianeta Rosso – queste sono state le orgogliose parole adoperate dal consigliere scientifico del presidente Barack Obama, John Holdren – rappresenta infatti un tangibile ed entusiasmante contraltare fatto di risultati, di efficienza e di competenza a una fase dell’esplorazione spaziale non certo particolarmente felice. L’astronautica russa sembra infatti affondare in una crisi industriale e tecnologica senza fine. Nonostante ribaltoni ai vertici e minacciosi interventi da parte di Putin e Medvedev, quando si tratta di far qualcosa di diverso rispetto alla routine (la gestione quotidiana della Stazione Spaziale, i lanci delle Soyuz e dei minicargo Progress verso la Iss) si scontra con la crescente fragilità del sistema industriale e scientifico dimostrata dai tanti flop verificatisi negli ultimi mesi. Anche per noi europei, nonostante tutto, la “fase” mostra tutti i segni della stazionarietà se non del declino.
La crisi generale dei bilanci degli Stati aderenti all’Esa impedisce di mettere a disposizione le risorse finanziarie che servirebbero per attuare programmi più ambiziosi. Programmi, peraltro, per i quali servirebbero idee e progetti innovativi che non ci sono, e che molto difficilmente verranno messi a punto nel corso della ministeriale europea che si terrà (sotto l’egida italiana) in autunno. Dopo anni di discussione l’Europa ancora non ha deciso se e come progettare il successore del razzo vettore Ariane 5. E se già si fatica a portare a compimento i programmi avviati come Galileo e Gmes, siamo in altissimo mare per quanto riguarda il come sostituire il cargo Atv, ormai superato e non più utilizzabile come “pagamento” della quota europea dei costi di gestione della Stazione Spaziale Internazionale.
Resta la Cina, che per molti (troppi) osservatori sembra compiere passi da gigante a ritmo tanto accelerato da rappresentare un pericolo per l’egemonia spaziale degli Usa. Così non è, dicono i numeri: i cinesi per passare dal primo lancio in orbita di una capsula abitabile al primo rendez-vous hanno impiegato esattamente lo stesso tempo che ci misero (cinquanta anni or sono) i sovietici o gli americani. Insomma, procedono, ma con un passo lento.
Quel che è certo è che l’impresa compiuta dagli uomini del Jet Propulsion Laboratory della Nasa con l’arrivo su Marte di Curiosity non solo rimette nella giusta prospettiva gli indubbi, ma limitati, progressi della Cina. Ma anche riconferma, se ce ne fosse stato il bisogno, il primato tecnologico e scientifico degli Usa nello spazio. L’eccezionale precisione raggiunta nell’atterraggio (a meno di un chilometro e mezzo dal punto previsto), l’ottimo funzionamento al primo tentativo del sistema di discesa Sky Crane, la straordinaria messe di immagini già messe a disposizione dagli scienziati hanno davvero sbalordito. E ora, Curiosity muove i primi passi su Marte, spostandosi dal sito Bradbury Landing, in onore dello scrittore di Cronache Marziane, nato proprio il 22 agosto di 92 anni fa e scomparso a inizio giugno, in direzione delle falde del Monte Sharp, dove sfodererà tutta la sua attrezzatura in un luogo geologicamente interessantissimo, e in cui gli scienziati pensano potrebbe anche essersi depositato materiale organico. Sarà una missione lunga due anni che riserverà certamente molte sorprese.