La commissione di giustizia della Camera dei rappresentanti Usa ha approvato sei disegni di legge che intendono frenare il dominio delle Big Tech, in particolare di Google e Facebook. Al centro del pacchetto legislativo c’è la misura che impedisce alle grandi aziende tecnologiche di favorire i propri prodotti sulle proprie piattaforme a svantaggio di altre aziende e degli stessi utenti. Il pacchetto, noto come American choice and innovation online act, richiede inoltre che gli utenti possano trasportare i propri dati su altre piattaforme e comunicare con utenti su altre piattaforme, con maggiore agilità. Il disegno di legge inoltre consente agli utenti di iPhone di scaricare app sui propri dispositivi senza dover utilizzare l’App store di Apple, una misura che ha portato Tim Cook a pubblicare un report in cui si sottolineava che la norma avrebbe danneggiato la privacy dei clienti ed esposto i loro dati a maggiori violazioni.
Il pacchetto di proposte di legge è il frutto di una lunga indagine da parte di una sottocommissione antitrust della Camera che ha scoperto le politiche messe in atto dalle grandi aziende tecnologiche “che hanno sfruttato il loro dominio per eliminare la concorrenza e soffocare l’innovazione”. Tra le misure approvate, una chiederà alle società che hanno in programma fusioni o acquisizioni di dimostrare che le operazioni siano conformi alla legge, e non più che sia l’autorità antitrust a dover dimostrare la loro illegalità.
Secondo il presidente della commissione, Jerrold Nadler, i disegni di legge sono necessari per fare in modo che internet resti un posto aperto e competitivo e che rimanga lo stesso strumento che finora è stato in grado di “fornire enormi benefici agli americani e alla loro economia”.
L’antitrust britannico contro le false recensioni
Il dibattito si sposterà ora dalla commissione alla Camera, per poi finire in Senato. L’iter è ancora lungo, ma se dovesse passare sarebbe un duro colpo per i giganti tecnologici americani, soprattutto se si considera che per alcuni di loro le vicissitudini non si esauriscono qui.
Amazon e Google, ad esempio, sono nel mirino dell’antitrust anche in Gran Bretagna. Il regolatore della concorrenza britannico ha infatti avviato un’indagine formale per stabilire se le due Big Tech possano “non aver fatto abbastanza per prevenire o rimuovere false recensioni dalle rispettive piattaforme”. In particolare, ha annunciato che raccoglierà ulteriori informazioni per decidere se le aziende possano aver violato la legge sui consumatori, adottando misure insufficienti per proteggere gli acquirenti.
Insieme con le autorità di regolamentazione negli Stati Uniti e nell’Unione europea, negli ultimi anni l’Autorità per la concorrenza e i mercati (Cma) ha intensificato il controllo sulle grandi aziende tecnologiche. La sua azione dell’anno scorso sullo scambio di recensioni false aveva portato Facebook, Instagram e eBay a rimuovere gruppi e a vietare alle persone di acquistare e vendere recensioni false sui loro siti.
Pieno appoggio dei Big alle indagini della Cma
“La nostra preoccupazione è che milioni di acquirenti online possano essere fuorviati leggendo recensioni false e poi spendendo i loro soldi in base a tali raccomandazioni”, ha dichiarato in una nota l’amministratore delegato della Cma Andrea Coscelli. “Allo stesso modo, non è giusto che alcune aziende possano falsificare recensioni a 5 stelle per dare ai loro prodotti o servizi il massimo risalto, mentre le aziende rispettose della legge ci perdono”.
Al momento, la Cma ha affermato di non aver raggiunto un’opinione sul fatto che Amazon e Google di Alphabet abbiano violato la legge. Tuttavia, se si conclude che hanno violato la legge sulla protezione dei consumatori, la Ama potrà intraprendere azioni esecutive che vanno dall’ottenere impegni formali per cambiare il modo in cui trattano le recensioni false, oppure passare a un’azione legale.
Amazon ha detto che continuerà a supportare la Cma nelle sue indagini. “Siamo implacabili nel proteggere il nostro negozio e agiremo per fermare le recensioni false, indipendentemente dalle dimensioni o dalla posizione di coloro che tentano questo abuso”, ha affermato un portavoce. Anche Google ha detto che continuerà a lavorare con il regolatore. “Le nostre rigide politiche stabiliscono chiaramente che le recensioni devono essere basate su esperienze reali e quando rileviamo violazioni delle norme, agiamo con la rimozione di contenuti offensivi o la disattivazione degli account utente”, ha affermato un portavoce dell’azienda.
Cookie di terze parti, Quantcast: “Servono alternative”
Intanto, altra novità da Mountain View: Google posticipa al 2023 la rimozione dei cookie di terze parti dal suo browser Chrome. “Dobbiamo muoverci a un ritmo responsabile, concedendo tempo sufficiente per la discussione pubblica sulle giuste soluzioni e per gli editori e l’industria pubblicitaria per migrare i loro servizi”, ha detto in un blog Vinay Goel, direttore dell’ingegneria della privacy per Chrome. Il rinvio è di quasi due anni.
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Davanti all’annuncio di rinvio, Quantcast ha riaffermato – con un commento del Ceo Konrad Feldman – la propria volontà di supportare l’open internet. “Qualsiasi Ceo o manager che sta tirando un sospiro di sollievo per questa notizia e si prepara a riassegnare persone e risorse ad altri progetti dovrebbe riconsiderare la propria decisione – afferma Feldman -. Google ha annunciato di aver bisogno di più tempo per l’interruzione del supporto dei cookie di terze parti, ma brand, agenzie, editori e aziende tecnologiche dovrebbero comunque rimanere concentrati sulla ricerca di un’alternativa a lungo termine, altrimenti la corsa folle prevista per la seconda metà del 2021 sarà solo rimandata alla prima metà del 2023. Le soluzioni per il mondo cookieless hanno infatti valore ora, indipendentemente dal rinvio temporale dichiarato dal gigante tech perché già molte sezioni dell’open internet, compresi Safari e Firefox, richiedono alternative ai cookie di terze parti. Quantcast resta quindi focalizzata sullo sviluppo di un’alternativa innovativa e interoperabile ai cookie di terze parti basata su solidi standard industriali”.