INNOVAZIONE

Industria 4.0, macchinari all’avanguardia solo nelle grandi imprese. In affanno le piccole

Lo rivela l’indagine Ucimu secondo cui le aziende di minori dimensioni hanno preferito mantenere sistemi obsoleti ma funzionanti. “Servono ancora incentivi per colmare il gap”

Pubblicato il 30 Giu 2021

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Il parco macchine utensili e sistemi di produzione installato nell’industria italiana risulta più vecchio di quello di cinque anni fa. Non solo: nel 2019, l’età media dei macchinari di produzione presenti nelle imprese metalmeccaniche del paese è risultata la più alta mai registrata. Di contro cresce il grado di automazione e integrazione degli impianti, segno che le misure di incentivo alla competitività in materia 4.0 hanno avuto i primi effetti.
A rivelare questi dati è la ricerca “Il parco macchine utensili e sistemi di produzione dell’industria italiana”, ideata da Ucimu-Sistemi per produrre, l’associazione dei costruttori italiani di macchine utensili, robot e automazione, in collaborazione con Fondazione Ucimu, realizzata con il contributo di Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, di Ice agenzia e Unioncamere.
L’indagine, effettuata con cadenza decennale e giunta alla sesta edizione, arriva ad appena cinque anni dalla precedente, con l’obiettivo di misurare i primi effetti della politica industriale 4.0, inaugurata nel 2016 su impulso dell’allora ministro Carlo Calenda.

Un’indicazione sul grado di competitività del sistema

Condotto su un campione rappresentativo di oltre 2mila imprese (con più di 20 addetti), lo studio fornisce il quadro su numerosità, età media, grado di automazione/integrazione, composizione e distribuzione (per settore, dimensione di impresa, aree territoriali) del parco macchine utensili e sistemi di produzione dell’industria del paese, al 31 dicembre 2019. In questo senso, l’indagine fotografa lo stato dell’industria manifatturiera (metalmeccanica) italiana, proponendo indicazioni in merito al grado di competitività dell’intero sistema economico nazionale. Le unità produttive censite sono pari al 15% dell’universo delle imprese del settore; esse danno occupazione al 17% degli addetti impiegati.
Secondo i dati dell’ultimo censimento effettuato da Istat nel 2017, l’industria metalmeccanica del paese ha subito un ulteriore ridimensionamento rispetto a quanto già rilevato nel censimento precedente (2011). È diminuito il numero delle fabbriche risultate, nel 2017, 15.241, (-3,7%) ed è calato anche il numero degli addetti impiegati, scesi sotto 1.150.000 unità (-3,1%).

Più macchine, ma dismissioni solo parziali

Entrando nel dettaglio dei risultati dell’indagine, sono 371.664 le macchine utensili installate nelle imprese censite dall’indagine, in crescita del 21,6% rispetto al 2014 (anno della precedente rilevazione) quando erano oltre 305.520. La crescita risulta notevole nonostante il settore metalmeccanico registri da tempo un progressivo ridimensionamento nel numero di fabbriche; ciò nonostante, l’acquisizione di nuove macchine non è coincisa con una massiccia dismissione dei vecchi sistemi, per cui vi è stato un ampliamento del parco macchine e solo una parziale sostituzione di sistemi produttivi già installati.

L’età media del parco macchine installato nelle fabbriche del Paese è risultata pari a 14 anni e 5 mesi, in crescita di 1 anno e 9 mesi rispetto alla precedente rilevazione quando il dato era risultato già decisamente poco brillante. Si tratta dell’età più alta mai registrata dal 1975. Questo dato dimostra che l’industria italiana non riesce ad abbassare l’età media del suo parco macchine e ciò desta evidente preoccupazione. Questo fenomeno si può spiegare con il fatto che è ancora ampia la platea di imprese che non ha fatto investimenti nonostante gli incentivi 4.0. Per queste aziende si può ipotizzare che, costrette a mantenere in servizio macchine vetuste, anche per lavorazioni strategiche, si sia investito in interventi di retrofitting.

Rispetto alle due rilevazioni precedenti (2005 e 2014), cresce nettamente la quota di macchine utensili con un’età superiore ai 20 anni, risultata pari al 48% del totale installato, contro il 27% della rilevazione del 2014. Cresce però anche la quota di macchine recenti (con età inferiore ai 5 anni) risultate il 16,1% del totale, contro il 13,1% della rilevazione precedente. Questa quota è riconducibile a investimenti in macchine digitalizzate e interconnesse e documenta quindi l’avvio della transizione 4.0, sostenuto certamente dagli incentivi resi disponibili dalle autorità di governo.

Più giovani le macchine con tecnologie non convenzionali

Emerge poi che sono le macchine tradizionali (asportazione e deformazione) ad avere l’età più avanzata, pari a 14 anni e nove mesi e a 14 anni e 7 mesi, dunque superiore alla media del parco. Relativamente più giovani sono i robot e le macchine lavoranti con tecnologie non convenzionali (laser, plasma, waterjet, additive manufacturing) che presentano un’età media pari a 12 anni e 5 mesi.

Negli ultimi venti anni si è assistito ad una progressiva trasformazione del parco macchine installato nelle imprese italiane determinato dalla riduzione degli acquisti di nuove macchine con tecnologie tradizionali in favore di quelle con tecnologie di ultima generazione. In particolare, nel 1999, l’83% delle macchine utensili presenti nelle fabbriche era rappresentato da macchine utensili a asportazione e deformazione. Nel 2019, questa quota scende al 73%, in favore di quella delle tecnologie innovative (in particolare robot e tecnologie non convenzionali) che rappresentano il restante 27%.

La ricerca svela inoltre che il livello tecnologico del parco macchine, rilevato, in prima istanza, dall’incidenza di macchine a controllo numerico sul totale del parco installato, risulta decisamente soddisfacente perché riguarda il 54% delle tecnologie presenti nelle fabbriche.
Parallelamente cresce il grado di automazione/integrazione degli impianti produttivi. L’incremento riguarda tutti e tre i livelli di automazione/integrazione ma è più deciso per i sistemi di integrazione informatica, evidente effetto delle politiche 4.0 attuate dalle autorità di governo.

Migliori performance dalle imprese più grandi

Rispetto alla classe dimensionale delle imprese, interessante è lo studio dell’evoluzione della stessa nel corso dell’ultimo periodo. In particolare, sebbene le piccole unità produttive restino al primo posto per numero di macchine installate, la quota detenuta si riduce notevolmente fermandosi al 39%, rispetto al 45% della rilevazione 2014 (quando già era risultata in forte calo rispetto al 53% della rilevazione 2005).
Risulta in calo, anche se più contenuto, la quota detenuta dalle imprese con 50-99 addetti, scesa al 21% contro il 22% della rilevazione 2014, mentre cresce la quota presente nelle imprese con 100-199 addetti che sale al 14,5%, dal 13% del 2014. Meglio di tutti fanno le imprese di grandi dimensioni che vedono crescere la quota di oltre il 5% a più del 25%, contro il 20% rilevato nel 2014.

Colombo (Ucimu): “Credito d’imposta su acquisti necessario anche per il 2022”

“Dai risultati della ricerca – ha rilevato Barbara Colombo, presidente Ucimu – emerge la tendenza all’allargamento della forbice tra imprese che investono e crescono in competitività e imprese che restano ferme. I provvedimenti per sostenere l’ammodernamento del parco macchine e per incentivare la transizione 4.0 del manifatturiero del Paese hanno prodotto effetti interessanti ma non ancora sufficienti ad assicurare la trasformazione digitale del metalmeccanico. Per questa ragione occorre che le misure attualmente operative, quali il credito di imposta per gli acquisti in nuove macchine tradizionali e con tecnologia 4.0, proseguano oltre il 2022. Anche in considerazione del crescente gap tra imprese innovative, per lo più realtà con almeno 100 addetti, e imprese ferme alle tecnologie di vecchia concezione, tipicamente di dimensione ridotta, chiediamo alle autorità di governo di rendere queste misure strutturali, così da permettere alle aziende di fare piani di investimento di medio lungo-termine, attraverso i quali cadenzare i programmi di acquisto”.

“Inoltre – ha concluso – parallelamente a ciò chiediamo che sia allungata anche l’operatività della misura del credito di imposta per la formazione (che oggi, nel calcolo, contempla anche il costo del formatore) così da assicurare alle imprese un corretto supporto per l’aggiornamento del personale. Solo così gli investimenti in tecnologie di nuova generazione potranno realmente assicurare all’impresa miglioramento della produttività e l’efficienza necessaria a vincere la sfida della competitività nello scenario internazionale”.

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