Serve una strategia difensiva contro lo strapotere delle piattaforme per evitare che la democrazia “degeneri” in algocrazia. È questo il punto chiave del ragionamento del Garante Privacy, Pasquale Stanzione, che oggi ha presentato al Parlamento la Relazione Annuale (SCARICA QUI IL DOCUMENTO)
In epoca di Covid, “il digitale ha dimostrato di poter essere al servizio dell’uomo, ma non senza un prezzo di cui bisogna avere consapevolezza: l’accentramento progressivo, in capo alle piattaforme, di un potere che non è più soltanto economico, ma sempre più performativo, sociale, persino decisionale – ha evidenziato Stanzione – Un potere che si innerva nelle strutture economico sociali, fino a permeare quel ‘caporalato digitale’ rispetto ai lavoratori della gig economy, protagonisti anche in Italia del primo sciopero contro l’algoritmo”.
“Gli ‘invisibili digitali’, come da taluno sono stati definiti – ha proseguito – I ‘gatekeepers’, appunto, stanno assumendo un ruolo sempre più determinante nelle dinamiche collettive, economiche, persino politiche, assurgendo a veri e propri poteri privati scevri, tuttavia, di un adeguato statuto di responsabilità”.
E’ questo – secondo il Garante – il nodo di fondo del capitalismo delle piattaforme: “l’esigenza di una loro cooperazione nell’impedire che la rete divenga uno spazio anomico dove impunemente si possano violare diritti, senza tuttavia ascrivere loro un ruolo arbitrale rispetto alle libertà fondamentali e al loro bilanciamento, da riservare pur sempre all’autorità pubblica”.
“La protezione dei dati può rappresentare un prezioso strumento di difesa della persona da vecchie e nuove discriminazioni e di riequilibrio dei rapporti sociali, nella direzione dell’eguaglianza e della pari dignità sociale indicate dalla nostra Costituzione – ha detto Stazione – In questo senso, la protezione dei dati si sta dimostrando anche e sempre più determinante per un governo sostenibile della tecnica; perché la democrazia non degeneri, in altri termini, in algocrazia”.
Privacy e Pnrr
E nella grande stagione di riforme che l’Italia si appresta ad aprire, per Stanzione, è fondamentale che nei parametri delle riforme da mettere in campo nell’ambito del Pnrr ci sia la tutela dei dati.
“Le riforme indicate nel Pnrr – tra le quali l’innovazione digitale occupa, comprensibilmente, una posizione centrale – ha spiegato – devono essere realizzate considerando anche, tra i parametri essenziali, la protezione dei dati, quale fattore di vantaggio competitivo per il sistema Paese e, assieme, presupposto di legittimazione dell’azione pubblica”.
“Inscrivere nel processo riformatore adeguate garanzie per la Privacy vuol dire, infatti, infondere nei cittadini fiducia nell’operato delle pubbliche amministrazioni e, ad un tempo, favorire un’innovazione ‘sicura’ e, per ciò, competitiva perché scevra da rischi, oltre che non regressiva in termini di diritti e di libertà – continua – Nella progettazione delle riforme e nel loro concreto attuarsi sarà, dunque, indispensabile il dialogo istituzionale e la consultazione del Garante, che lungi dal rappresentare un ostacolo, ha dimostrato di essere il fattore determinante di ogni innovazione riuscita”.
Il rischio monetizzazione
Secondo Stazione, nell’epoca della digitalizzazione spinta bisogna scongiurare il rischio monetizzazione. “Una più netta presa di coscienza del valore dei propri dati, è l’unico effettivo baluardo contro contro il rischio della monetizzazione della Privacy, che rappresenta oggi la vera questione democratica nel governo della rete – ha puntualizzato -E’ significativo che l’Unione europea abbia negli ultimi cinque anni messo al centro della propria agenda politica la regolazione del digitale, consapevole che l’anomia cui altrimenti sarebbe consegnata la retennon esprime libertà, ma soggezione alla lex mercatoria, tanto quanto alla lex informatica”.
Smart working e biosorverglianza
“La permanenza della condizione pandemica ci ha insegnato a convivere con le limitazioni dei diritti, tracciando tuttavia il confine che separa la deroga dall’anomia, dimostrando come la democrazia debba saper lottare, sempre, con una mano dietro la schiena – si legge nella Relazione – Ma quella della democrazia liberale contro le derive autoritarie – avverte Stanzione – è una vittoria da rinnovare giorno per giorno mai dandola per acquisita, come ha fatto l’Europa che ha dimostrato, anche in quest’occasione, di saper coniugare, senza contrapporle, libertà e solidarietà, sfuggendo alla tentazione delle scorciatoie tecnocratiche della biosorveglianza”.
E ancora per effetto della pandemia si sono accessi i riflettori sui diritti connessi alle nuove modalità di lavoro. In questo senso, secondo Stanzione, “merita apprezzamento, l’introduzione – richiesta dal Garante, benché con un perimetro più ampio di quello previsto – del diritto alla disconnessione, da esercitare senza pregiudizi per il lavoratore, per impedire l’eccessiva osmosi tra tempo di vita e tempo di lavoro che rischia altrimenti, con lo smart working, di vanificare alcune tra le più basilari conquiste del diritto del lavoro”.
I dati sugli attacchi informatici: 2020 anno record
“Il 2020 si è caratterizzato, a livello globale, per il record negativo degli attacchi informatici, agevolati dall’incremento del ricorso ai canali telematici per effetto della pandemia e assurti, poche settimane fa, a veri e propri atti ostili nell’ambito del conflitto per il dominio cibernetico – ha reso noto il Garante – Alcune ricerche (Osservatorio Cybersecurity di Exprivia) sottolineano come, nel primo trimestre 2021 in Italia si siano già verificati 349 reati informatici, in crescita del 47% rispetto al 2020, compresivi di furto dei dati nel 70% dei casi. Nel corso dell’anno, sono stati notificati al Garante oltre 1387 data breach, alcuni dei quali particolarmente rilevanti per la tipologia di dati, anche di carattere sanitario, esfiltrati o per il numero di soggetti interessati”.
“Il Dis (il Dipartimento informazioni per la sicurezza) ha registrato nel 2020, in Italia, un generale incremento delle aggressioni (+20%), rivolte nell’83% dei casi a soggetti pubblici – ha proseguito – Ciò conferma la già rilevata vulnerabilità di sistemi informatici, quali in particolare quelli della pubblica amministrazione, progettati al di fuori di un piano organico d’innovazione comprensivo tra l’altro di adeguate garanzie Privacy, come dimostra l’incidenza delle violazioni riscontrate dal Garante nel settore pubblico, anche rispetto a obblighi centrali quali quelli di corretta designazione del responsabile della protezione dati”.
“Il che dimostra come la protezione dei dati sia un fattore abilitante primario, un presupposto ineludibile anche per la cybersecurity, in quanto tutela ciò che, come il dato, rappresenta l’elemento costitutivo essenziale dell’infosfera. Tale consapevolezza è alla base della collaborazione con il Dis (da estendere alla neo-istituita Agenzia per la cybersicurezza nazionale, come prevede lo stesso decreto legge ndr) ulteriormente sviluppata quest’anno nel solco di un’innovazione più volte addotta, in ambito europeo, a modello da seguire”.
Le sanzioni
Le comunicazioni di notizie di reato all’Autorità giudiziaria sono state 8 e hanno riguardato violazioni in materia di controllo a distanza dei lavoratori; accessi abusivi a sistemi informatici; trattamento illecito dei dati; falsità nelle dichiarazioni. Le sanzioni riscosse sono state pari a 38 milioni di euro. Questi alcuni dati che emergono dalla Relazione annuale 2020 del Garante della protezione dei dati personali. Le ispezioni effettuate nel 2020 sono state 21, avendo subito l’impatto dell’emergenza da Covid-19. Gli accertamenti svolti nel 2020, anche con il contributo del Nucleo speciale tutela Privacy e frodi tecnologiche della Guardia di finanza hanno riguardato diversi settori, sia nell’ambito pubblico che privato: in particolare, la fatturazione elettronica; le grandi banche pubbliche; i software per la gestione del “whistleblowing”; le società di intermediazione immobiliare; il marketing; il food delivery.
Allarme su cyberbullismo e pedopornografia
“Anche per effetto della telematizzazione della vita, indotta dalla pandemia, nel 2020 si è registrato un incremento di circa il 132%, rispetto al 2019 dei casi trattati dal Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia e un aumento del 77% dei casi di vittimizzazione dei minori per grooming, cyber bullismo, furto d’identità digitale, sextorsion. Il 68% degli adolescenti risulta essere stato, nel 2020, testimone di casi di
cyberbullismo (Terres des Hommes)”. Si tratta di “dati allarmanti, che non possono non esigere un’assunzione di responsabilità collettiva rispetto a soggetti, quali i minori, le cui vulnerabilità possono renderli le vittime elettive delle distorsioni del web”.