«L’e-learning sarà pure – e purtroppo – ancora la Cenerentola
della nuova didattica, ma rimane comunque uno strumento utilissimo
nei processi di change management e di innovazione della Pubblica
amministrazione, adatto ad erodere dal basso ogni tipo di
resistenza, culturale e organizzativa». Ne è convinto
Mauro Sandrini, responsabile del Centro e-learning e
coordinatore del progetto “Share” dell’Università di
Teramo.
Stando ai numeri dell’ultimo report della Scuola
superiore della PA ci sono ancora molti ostacoli alla diffusione
dell’e-learning. Perché?
Perché viene utilizzato nel modo sbagliato. La maggior parte delle
volte, nelle amministrazioni pubbliche soprattutto, le piattaforme
di e-learning vengono scelte solo ed esclusivamente perché
consentono di risparmiare, in termini di tempi e costi.
Invece?
Invece questo approccio risulta riduttivo e depotenzia il valore
aggiunto di questo prezioso strumento.
Quale sarebbe questo valore aggiunto?
La sua capacità di diventare un importante driver di innovazione
all’interno di un grande progetto strategico di change
management, e quindi organizzativo e gestionale.
Sta dicendo che l’e-learning non è solo una modalità
didattica?
Assolutamente no. Anzi, averlo interpretato in questo modo ne ha
decretato quasi il fallimento. Finora nelle grandi organizzazioni
pubbliche ci si è avvicinati ad esso considerandolo una summa di
materiali didattici caricati su una piattaforma tecnologica
performante dal punto di vista economico. A farne le spese è stata
la qualità della relazione personale tra chi usufruisce
dell’e-learning, allievo o docente che sia. La tecnologia non
deve spersonalizzare il rapporto umano che è alla base di ogni
programma formativo di successo.
Crede che sia più funzionale utilizzare una piattaforma di
e-learning in modalità sincrona, cioè in aula?
Guardi, non si tratta tanto di utilizzare un supporto digitale per
fare lezione in modo tradizionale. Quello che intendo dire è che i
partecipanti ai corsi devono avere la consapevolezza di intervenire
non solo ad un programma di aggiornamento, ma ad un progetto più
ampio di innovazione della struttura nella quale lavorano, e cioè
di change management. E questo si può fare solo recuperando la
dimensione umana. Poi si può anche decidere di seguire le lezioni
da casa via pc o studiare da soli al proprio desk. L’importante
è che sia chiaro a tutti, allievi e discenti, l’obiettivo a
lungo termine.
Chi ha la responsabilità di “spiegare” il change
management?
Nelle pubblica amministrazione sono i dirigenti. Che però avviano
quasi sempre piani di riorganizzazione strutturati dal basso verso
l’alto, dimenticando la dimensione orizzontale, cioè il
coinvolgimento dei dipendenti. In questo senso è necessario
integrare la dimensione verticale con quella orizzontale e, per
tornare a quello che dicevo prima, l’e-learning è un prezioso
strumento. E poi c’è un’altra questione…
Sarebbe?
Quando si tratta di formazione è inutile e anche rischioso voler
lanciare mega-piani. Sarebbe più utile applicare una metodologia
bottom-up che, partendo da interventi microscopici che non
impattano sull’amministrazione, né in termini di risorse né di
organizzazione, arriva a creare una massa critica in grado di
attivare un grande processo di cambiamento.
Chi organizza i corsi è spesso un dirigente con formazione
tecnico-scientifica. Può bastare?
Vero è che spesso i corsi in modalità e-learning sono gestiti da
manager pubblici con un curriculum prevalentemente
tecnico-scientifico. Ma io credo che non basti quel tipo di skills
per formare con successo. Sono convinto che vadano integrate anche
competenze più umanistiche per dare ai corsi un respiro maggiore.
Sandrini”: “Gestione bottom up per l’e-learning”
Il responsabile del Centro e-learning dell’Università di Teramo è convinto che “per funzionare la didattica digitale deve far parte di un piano di change management”
Pubblicato il 20 Lug 2009
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