Lo smart working non può essere modello per il futuro nella PA. Nel question time alla Camera il ministro Renato Brunetta spiega perché il lavoro agile, almeno come l’ammistrazione lo ha sperimentato in questi mesi, non può funzionare.
“Il lavoro agile è stato la risposta emergenziale al lockdown ma non ha affatto garantito i servizi pubblici essenziali – ha spiegato Brunetta – Questo tipo di lavoro non può essere pensato come modello per il futuro: costruito dall’oggi al domani spostando dalla presenza al remoto; senza ri-progettazione dell’organizzazione, senza contratto, senza obiettivi, senza tecnologia e senza sicurezza. Un lavoro a domicilio all’italiana”.
“Il lavoro da remoto ha funzionato durante il lockdown dove era già regolato e strutturato con una piattaforma digitale già esistente ed è il caso dell’Inps”, ha aggiunto.
“Pensare di progettare questo tipo di organizzazione per il futuro mi sembra un abbaglio – ha detto – Abbiamo il Pnrr, abbiamo la digitalizzazione, abbiamo cambiato il modo di fare i concorsi pubblici, abbiamo in programma l’interoperabilità delle banche dati e il passaggio al cloud”. Su questo, secondo Brunetta, bisogna fare leva per mettere a valore il Recovery Plan, grazie al quale si stima che il Pil italiano crescerà del 6%.
Tutto da buttare insomma? No, però bisogna costruire un quadro regolatorio efficace ad affrontare le sfide poste dal lavoro agile. “Siccome io sono un vecchio socialista, un vecchio esperto di relazioni industriali e sindacali mi sono preoccupato prima di tutto di una regola contrattuale che non c’è mai stata – ha detto – Per questo ho dato mandato all’Aran di contrattualizzare lo smart working”. Aran dunque è al lavoro per definire le regole su disconnessione, produttività e misurazione dei risultati.
L’ipotesi al vaglio del ministro è il mantenimento fino al 15% di lavoratori pubblici in smart working, anche dopo il ritorno in presenza che dovrebbe partire da fine settembre.