POST COVID-19

Industria 4.0, Federmeccanica: “Servono interventi mirati su incentivi e competenze”

Presentato il progetto Competere che mette nero su bianco le azioni chiave per la sostenre il lavoro e l’impresa. Il presidente Visentin: “Comparto metalmeccanico cruciale per la ripartenza”

Pubblicato il 15 Set 2021

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Sostenere il lavoro e l’impresa nella Quarta rivoluzione industriale e agganciare le opportunità del post-pandemia. Con questo obiettivo Federmeccanica ha presentato il progetto Competere.

“La crescita di qualsiasi sistema dipende dalla sua competitività-  spiega il presidente di Federmeccanica, Federico Visentin – Questa è l’unica strada possibile, una strada che Federmeccanica vuole tracciare “progettando” il Nuovo Lavoro e la Nuova Impresa. Progettare il Nuovo Lavoro significa, da un lato, intervenire in maniera decisa su problemi che da troppo tempo ci portiamo dietro come il cuneo fiscale, che va abbattuto, mentre dall’altro vuol dire mettere le basi per gestire il cambiamento, ad esempio creando le competenze che serviranno alle imprese nel futuro. Progettare la Nuova Impresa significa sostenere il tessuto metalmeccanico/meccatronico sia con interventi in grado di produrre effetti nell’immediato, come gli incentivi per il 4.0 e le azioni da mettere in campo per la carenza (e l’eccessivo costo) delle materie prime, sia con misure che abbiano un lungo respiro, come le politiche industriali utili per gestire la transizione tecnologica ed ecologica. Siamo in una congiuntura favorevole all’interno comunque di una fase di ricostruzione che necessità di progettualità. Serve quello stesso spirito Riformatore che ha accompagnato il Rinnovamento contrattuale e culturale di Federmeccanica. Un percorso di Riforma che intendiamo portare avanti”.

Il progetto Competere – Lavoro

  • Mercato del lavoro. È indispensabile rilanciare la centralità dell’occupazione giovanile potenziando strumenti come l’apprendistato, in particolar modo quello di primo e di terzo livello ampliandolo anche agli Istituti tecnici superiori. È necessario non perdere i talenti migliori investendo su formule in grado di trattenerli, come i dottorati industriali. Occorre introdurre azioni mirate di orientamento, per una maggiore presenza femminile nelle scuole e università STEM, prevedendo allo stesso tempo incentivi e agevolazioni per l’assunzione di donne. La flessibilità in entrata dovrebbe essere ampliata intervenendo, ad esempio, sulle attuali norme e lasciando maggior spazio alla contrattazione collettiva e riportare il contratto a termine alla regolamentazione prevista dal D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 che consentiva la possibilità di stipulare contratti a termini a-causali di 24 o meglio 36 mesi. Il quadro normativo in materia di agevolazioni alle assunzioni risulta, infatti, molto frammentato e richiede adempimenti amministrativi anche complessi che tendono a disincentivarne l’utilizzo da parte delle aziende (limite cosiddetto “de minimis”, incremento occupazionale netto, richieste di autorizzazione all’incentivo all’INPS, ricerca prima occupazione del candidato ecc.). Sarebbe auspicabile che le istituzioni (europee e nazionali) rivedessero i termini del “de minimis”, ad esempio non considerando, nel cumulo dei finanziamenti da conteggiare ai fini del raggiungimento del tetto, le agevolazioni per le assunzioni soprattutto in un momento storico come questo in cui è necessario fare ogni tipo di sforzo per aumentare l’occupazione.
  • Cuneo fiscale. Il collegamento tra salari e produttività deve essere pervasivo e va incentivato qualunque siano le forme di implementazione e le fonti dello stesso. Questo può contribuire a innescare un circuito virtuoso in grado di colmare il divario tra costo del lavoro e produttività. È pertanto necessario rafforzare la detassazione dei premi di produzione, sia in generale che mediante welfarizzazione, ai fini di un maggior incentivo alla produttività delle imprese. Questo rivedendo il criterio dell’incrementalità che risulta difficile da raggiungersi negli anni generando incertezza operativa sulla possibilità di applicare la detassazione/welfarizzazione, di fatto rendendo più complicata l’erogazione dei premi e la loro diffusione. Il collegamento virtuoso tra salari e produttività, che va incentivato, non necessariamente (e non sempre) è determinato da un incremento anno su anno dei relativi parametri. Vi sono poi anche altri campi di azione per incidere sulla produttività, ad esempio gli in-vestimenti in innovazione e nel capitale umano. Anche in questo caso vanno incentivati con forme di detassazione che verrebbero così collegate a fattori di crescita e di sviluppo, come avviene per la formazione 4.0. Considerando gli effetti positivi dello strumento che peraltro alimenta i consumi e quindi sostiene l’economia reale, i limiti massimi annuali per l’esenzione fiscale e contributiva dei flexible benefits andrebbe innalzato quantomeno a 516,46 € annui come è stato previsto in via transitoria limitatamente agli anni 2020 e 2021.
  • Politiche per un lavoro che cambia. Moderni ammortizzatori sociali unitamente a evolute politiche attive devono essere le due gambe che, marciando alla stessa velocità, possono consentire di attraversare fasi anche complesse di stravolgimenti senza che vi siano situazioni socialmente non sostenibili. I nuovi ammortizzatori sociali si dovranno ispirare al principio della condizionalità, nel caso di sostegno a chi ha perso il lavoro (NASPI), e nel caso di integrazione al reddito della persona occupata (Cassa Integrazione) al principio assicurativo che garantisca un rapporto tra contributi versati e sostegni ricevuti (con forme di solidarietà all’interno delle filiere) e un rapporto tra entità del contributo e rischio di utilizzo dello strumento.
  • Rinnovamento delle Relazioni industriali. Lo sforzo da compiere come sistema è quello di lavorare per trovare convergenze nei diversi settori al fine di operare una razionalizzazione dei contratti nazionali che consenta di garantire le stesse tutele fondamentali a ogni lavoratore (quantomeno nella medesima categoria), di realizzare economie di scala ancor più favorevoli e di fornire strumenti di gestione adattabili alle esigenze delle singole imprese e dei singoli lavoratori. Al fine di prevenire eventuali tentativi di realizzare contratti pirata occorrerebbe escludere ogni forma di incentivo previsto da norme legge nel caso di applicazione di contratti stipulati da soggetti che non siano rappresentativi. È quindi necessario che si arrivi quanto prima alla misurazione della rappresentanza di ogni parte sia quelle sindacali che quelle datoriali.
  • Modello flessibile, trasparente e partecipativo. In uno scenario estremamente mutevole non sempre è possibile attendere le finestre contrattuali per operare quegli interventi che possono rendersi necessari in tempi più stretti. Guardando avanti, grazie alle garanzie in grado di fornire tutele fondamentali sempre vigenti, si dovrebbe giungere a un modello che vada oltre il concetto di scadenza e di durata contrattuale, per operare in maniera concreta, e nel caso anche senza soluzione di continuità, in ogni momento in cui fosse necessario agire. Allo stesso tempo la partecipazione in azienda dovrebbe sperimentare forme di coinvolgimento operativo dei rappresentanti dei lavoratori nei processi aziendali andando oltre le tradizionali procedure di consultazione. Una maggiore consapevolezza delle criticità legate all’andamento del mercato dovrebbe consentire anche in questo caso l’adozione delle misure necessarie in tempo reale senza che siano necessari ulteriori momenti di discussione
  • Centralità della persona e Relazioni Interne. Il rapporto diretto con i collaboratori ai tempi della quarta rivoluzione industriale con la persona al centro va rafforzato. Oltre alle tradizionali forme di partecipazione ai risultati e di riconoscimento del merito stanno emergendo modalità nuove di coinvolgimento dei singoli nell’andamento aziendale. Si pensi ai piani azionari che non solo consentono ai collaboratori di partecipare ai risultati dell’impresa, ma rafforzano anche il senso di appartenenza degli stessi. Al fine di una maggiore estensione del piano di azionariato diffuso è importante modificare il meccanismo di determinazione del capital gain all’atto della cessione delle azioni, dopo i 3 anni di detenzione delle stesse. In particolare, il capital gain dovrebbe essere applicato solo sull’incremento del valore delle azioni all’atto della vendita rispetto al valore dell’attribuzione al dipendente e non all’intero valore dell’azione, come invece avviene attualmente. L’attuale meccanismo, infatti, prevede l’applicazione del capital gain del 26% sull’intero valore dell’azione attribuita al dipendente riducendo pertanto, in caso di vendita delle stesse, il beneficio per il lavoratore. In particolare, questo meccanismo ha un effetto ancor più negativo sui dipendenti con reddito di lavoro più basso. Il miglioramento di questo meccanismo renderebbe più incentivanti i piani di azionariato diffuso.
  • Organizzazione e Sicurezza. Vanno poste in campo sia azioni formative che incentivanti prevedendo, ad esempio, la detassazione di investimenti volti alla modernizzazione dell’organizzazione del lavoro attraverso progetti e consulenze specifiche. Nell’immediato occorre investire sulla semplificazione, una volta superata la fase emergenziale, definendo per il lavoro agile delle modalità di comunicazione più semplici rispetto a quelle previste dalla normativa vigente, sciogliendo anche alcuni nodi di difficile interpretazione come quelli legati alla salute e sicurezza sul lavoro. La sicurezza è un ambito sul quale si continua ad investire. Tutto questo deve essere riconosciuto e promosso. Occorre quindi dare rilievo ai casi virtuosi e bisogna evitare allo stesso tempo che un singolo evento negativo possa oscurare tutto quello che di buono viene fatto. Siamo i primi a voler perseguire chi sbaglia ma si devono evitare messaggi e azioni generalizzate perché questo non aiuta a diffondere quella cultura positiva che trova proprio nella collaborazione un prezioso strumento di prevenzione dei rischi. Gli sforzi più rilevanti, che hanno comunque un costo, per raggiungere un obiettivo di drastica riduzione degli infortuni andrebbero incentivati, anche prevedendo una riduzione dei premi INAIL in caso di performance positive prolungate in merito a infortuni e incidenti sul lavoro. La sicurezza sul lavoro deve sempre essere contestualizzata alle singole realtà e oggi va vista anche in prospettiva alla luce dell’evoluzione tecnologica ed ecologica, in modo che possa essere non solo un fattore di competitività ma anche un importante leva per la transizione.
  • Scuola e lavoro, integrazione e nuova didattica. È indispensabile ridare forza all’alternanza scuola-lavoro e anzi potenziarla puntando anche a una maggior diffusione non solo dei tirocini extra-curriculari ma dell’apprendistato duale (sia di primo che di terzo livello). Si deve investire in progetti di orientamento alle professioni del futuro rivolti alle scuole secondarie di primo e secondo grado coinvolgendo gli studenti, le loro famiglie e il corpo docente sempre prevedendo un ruolo di partner per le imprese. Nel percorso di orientamento, che deve essere parte di quello didattico già dai primi anni di scuola, occorre far emergere le attitudini dei giovani, il loro metodo di apprendimento e allo stesso tempo far conoscere le caratteristiche del lavoro che cambia e le competenze richieste. In questo quadro deve emergere il valore e l’importanza delle aree Stem, per acquisire competenze in linea con le richieste del mercato e colmare il divario di profili ricercati dall’industria, con un’attenzione specifica alle ragazze e al loro accesso alle professioni nei settori in cui prevale la presenza maschile. Diventa di rilevanza strategica per lo sviluppo del Paese investire negli ITS, gli Istituti Tecnici Superiori ad alta specializzazione, in linea con la volontà del Governo che ha previsto nel PNRR lo stanziamento di ingenti fondi dedicati.
  • Riqualificazione. Occorre costruire strumenti a disposizione di imprese e lavoratori che possano accompagnare la riqualificazione a partire dall’individuazione delle figure che saranno più toccate, dall’analisi delle loro competenze, dei fabbisogni futuri che possono essere per loro un appiglio contro l’obsolescenza dei loro profili, di come concretamente svolgere la riqualificazione. Servono regole nazionali e una “cabina di regia” centrale per l’erogazione dei fondi regionali in materia di politiche attive del lavoro con particolare riferimento ai corsi di pre-assunzione, volti a sviluppare le abilità e competenze richieste dal mercato del lavoro. Inoltre, si ritiene importante prevedere parametri di rimborso differenziati per la formazione professionale a seconda del settore di riferimento. La formazione dei profili ricercati dall’industria, e in particolare dal settore manifatturiero, richiede infatti attività tecnico-pratiche da svolgere in laboratori dotati di impianti e attrezzature di grandi dimensioni con investimenti e costi significativi in termini di macchinari, materiali e consumabili. Allo stesso tempo si deve favorire le attività formative di reskilling e upskilling per le aziende che stanno affrontando situazioni di crisi o che devono fronteggiare un processo di obsolescenza delle competenze dei propri lavoratori prevedendo delle misure di finanziamento alle imprese che oltre a coprire il costo orario del lavoratore in formazione, senza diminuirne lo stipendio, come previsto dal Fondo Nuove Competenze, permettano il recupero dei costi relativi alla formazione (docenza, tutoraggio, etc.). È necessario rendere più moderne e snelle le procedure e i processi per la presentazione e rendicontazione di piani di formazione finanziati dai fondi interprofessionali, che oggi richiedono numerose attività a basso valore aggiunto e verifiche che molte volte risultano essere più formali che sostanziali.

Progetto Competere- L’impresa

  • La sfida della crescita. In un contesto economico, sociale e tecnologico in sempre più rapido mutamento è essenziale che le imprese abbiano al proprio interno non solo competenze tecniche – pur fondamentali – ma anche competenze manageriali che consentano loro di cogliere le opportunità offerte dallo sviluppo di nuovi prodotti, di nuovi modelli di business (per esempio, la cosiddetta “servitizzazione”) e di nuovi modelli organizzativi. L’attività di acquisizione di imprese comporta la necessità di “capitali silenti” e “pazienti”. Non sempre il sistema finanziario privato italiano e internazionale è all’altezza delle sfide dal momento che restano prevalenti strumenti caratterizzati da un corto respiro temporale e da un’attitudine speculativa. È pertanto necessaria un’azione pubblica (forse attraverso il potenziamento delle azioni di Cassa Depositi e Prestiti e/o di SACE) che fornisca “capitale silente” a imprese che soddisfino requisiti gestionali e di responsabilità sociale e siano impegnate in processi di crescita attraverso acquisizioni (nazionali e internazionali). Occorre prevedere forme di incentivazione per attività di formazione degli imprenditori e del management finalizzate allo sviluppo di nuovi modelli di business. In parallelo agli incentivi per processi di M&A si deve anche promuovere la crescita organica delle PMI. Da questo punto di vista il supporto agli investimenti rimane fondamentale. Le agevolazioni previste dal Piano per Industria 4.0 devono essere stabilizzate e rese strutturali e riguardare i diversi ambiti (credito d’imposta ex iperammortamento, R&S e formazione 4.0). Analoghe incentivazioni dovrebbero anche riguardare l’adozione di innovativi modelli organizzativi e di business, come ad esempio quelli orientati verso la “servitizzazione”. Anche la crescita aziendale mediante quotazione in borsa deve essere stimolata e supportata in quanto funzionale sia alla crescita organica (internazionalizzazione, investimenti etc.), sia alla crescita attraverso processi di acquisizione e integrazione. Il momento storico, infatti, è propizio in virtù della grande disponibilità di liquidità sui mercati finanziari. Si pensi al credito di imposta per quotazioni AIM che dovrebbe essere potenziato e reso strutturale.
  • Transizione digitale. La manifattura e la meccanica italiane devono realizzare, anche con il contributo dei fondi del PNRR, un processo di trasformazione creativa. Occorre mettere a profitto una capacità innovativa propria e “di sistema” (università, centri ricerca…) per rafforzare il posizionamento competitivo delle imprese in termini di qualità del prodotto e di modelli di business sostenibili. Le idee hanno maggiore probabilità di circolare tra persone fisicamente o culturalmente vicine. Occorre dunque favorire ulteriormente interazioni locali che coinvolgano imprenditori, manager, centri di ricerca attivi in ambiti vicini e applichino tecnologie potenzialmente complementari in logiche di contaminazione reciproca. Partire dall’ascolto delle tante eccellenze dei territori stimolando la costruzione di una pluralità di idee al tempo stesso concrete (in quanto sviluppate su reali eccellenze attuali) ma anche “visionarie” (in quanto capaci di prefigurare un futuro possibile e di interesse generale). Politiche industriali concrete e di ampio respiro possono emergere solo da un mosaico che, partendo dall’aggregazione e dall’ascolto dei tanti cluster produttivi, renda compiutamente conto della straordinaria varietà e ricchezza della meccanica e della manifattura italiane. Sotto questo profilo, il sistema dei Digital Innovation Hub (DIH) e dei Competence Centers dovrebbe essere ripensato, anche per tenere conto delle esigenze sopra rappresentate.
  • Transizione ambientale. È necessario che il Governo e le Autorità Europee garantiscano che il processo di de-carbonizzazione avvenga in un contesto di giusta correzione degli squilibri che permetta alle imprese europee la partecipazione in condizioni competitive alle catene globali del valore. Occorrono politiche industriali che favoriscano un esito nel quale la meccanica europea – che paga un prezzo altissimo alla volontà dell’Europa di guidare la transizione ambientale mondiale – esca da tale transizione con nuove eccellenze nelle tecnologie “verdi”. La metalmeccanica contribuisce alla sostenibilità ambientale con processi produttivi più efficienti grazie alla digitalizzazione, e con prodotti più efficienti ad esempio con lo sviluppo di tecniche di simulazione e delle tecnologie di manifattura additiva che consentiranno grandi risparmi di energia. Con la sharing economy (abilitata dalla digitalizzazione) i beni strumentali saranno destinati a durare più a lungo riducendo l’impatto ambientale. A fronte di tali contributi positivi alla decarbonizzazione vi dovrà essere un riconoscimento sia in termini di risorse del PNRR sia in termini di fiscalità incentivante.
  • Nuova globalizzazione. Il tema della sovranità tecnologica europea è divenuto centrale e pone delicate questioni relative al giusto equilibrio tra esigenze contrapposte: da un lato occorre riconoscere che un’adeguata globalizzazione delle filiere produttive è garanzia di efficienza, dall’altro occorre prestare attenzione a che un’eccessiva dipendenza da forniture extra-europee non comprometta l’indipendenza e la resilienza a shocks delle produzioni europee. Nell’evoluzione delle catene globali del valore, il re-shoring di talune produzioni meccaniche può contribuire al riposizionamento delle nostre imprese e alla valorizzazione delle competenze e delle specializzazioni italiane. La straordinaria condizione di mercato che ha determinato la peggiore crisi di disponibilità di materie (come l’acciaio e l’alluminio) mal si concilia con dazi e salvaguardie. Si dovrebbe quindi superare in questa fase le ragioni di confronto sulla giustificazione di dazi e salvaguardie, intervenendo con una misura eccezionale di sospensione delle misure protezionistiche per il tempo necessario al superamento della crisi di shortage per il Covid-19, da valutarsi anche come segnale anti-speculativo ai mercati.

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