Pubblicare frasi offensive su una donna sul proprio stato WhatsApp è diffamazione. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33219, evidenziando “la diffusività del mezzo”.
“Le affermazioni lesive dell’onore e del decoro della persona offesa enunciate sullo status di whatsapp posso integrare il reato di diffamazione qualora i contenuti ivi presenti siano visibili ai contatti presenti in rubrica”, si legge nel dispositivo.
Secondo la Suprema Corte anche sullo stato dell’app di messagistica il contenuto è visibile a tutti i contatti in rubrica, che sul proprio telefono hanno scaricato WhatsApp posso vedere quanto pubblicato. Da qui, il reato di diffamazione, commesso, secondo l’articolo 595 del Codice penale, da “chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione”.
Il caso riguarda un uomo, accusato di aver volontariamente pubblicato una frase offensiva rivolta a una donna, presente tra i contatti e dunque destinataria, tra gli altri, del messaggio, sul proprio stato WhatsApp. Dopo aver visualizzato lo stato ed aver evidentemente capito fosse rivolto a lei, la vittima ha denunciato l’uomo, che è stato condannato nei tre gradi di giudizio.
La Corte di Cassazione ha confermato la decisione presa in primo e secondo grado, infliggendo all’uomo una multa da 3mila euro e spese legali da risarcire e stabilendo che “l’uomo non ha limitato la visione della frase offensiva rivolta alla donna, e lo ha fatto consapevolmente, perché se avesse voluto rivolgersi direttamente alla vittima, avrebbe avuto più senso inviarle un messaggio personale”.