La filiera dell’editoria, della stampa e delle telecomunicazioni che ruota intorno a Seat Pagine Gialle rischia di sparire dal territorio torinese “per effetto di un mix tra speculazione finanziaria e mancanza di politiche industriali”. Lo sostiene la Slc-Cgil, sottolineando che in ballo ci sono le sorti di imprese come Rotosud, Voice Care, Setiz, Pronto Seat e i circa 2.000 lavoratori piemontesi. Per questo il sindacato, durante un convegno a Torino, ha chiesto alle istituzioni di mobilitarsi per creare una sorta di “distretto di prodotto” e far partire “il distretto della filiera della carta e della grafica”.
Slc-Cgil esprime le sue preoccupazioni a pochi giorni dalla nomina del nuovo amministratore delegato del gruppo leader nel settore della pubblicità direttiva multimediale. Lo scorso 17 settembre il Consiglio di amministrazione di Seat Pagine Gialle ha identificato in Vincenzo Santelia la persona con i requisiti giusti per rivestire la carica di amministratore delegato al posto di Alberto Cappellini, scomparso qualche mese fa. Santelia ha dato disponibilità ad assumere la carica qualora fosse eletto dall’assemblea degli azionisti e delegato dal nuovo Cda che subentrerà a quello attuale dimissionario in occasione dell’assemblea del 22 ottobre prossimo.
Il 6 settembre scorso si è concluso il lungo processo di ristrutturazione dell’indebitamento finanziario di Seat Pagine Gialle. A fine agosto l’indebitamento netto del gruppo ammontava a 1,31 miliardi di euro, in forte calo rispetto ai 2,68 miliardi di luglio. I vertici dell’azienda hanno spiegato la variazione con l’azzeramento dei debiti finanziari verso parti correlate, che a luglio ammontavano a quasi 1,37 miliardi di euro. Secondo alcuni osservatori, la nuova dirigenza, che dovrebbe essere capitanata da Santelia, potrebbe portare avanti la strategia di Cappellini, il quale aveva indirizzato Seat Pagine Gialle verso i servizi online per diversificare l’offerta e rispondere meglio alle nuove esigenze del mercato. Qualcuno è anche pronto a scommettere su un’alleanza industriale. I sindacati, però, temono che la società possa trasformare la sede storica di Torino da produttiva in centro di controllo delle attività date all’esterno, ridimensionando pesantemente l’occupazione.