Entra in vigore la nuova legge sulla privacy in Cina e già si contano le prime “vittime”: Yahoo e LinkedIn chiudono le loro attività nel Paese del grande drago e Epic Games manda offline il suo popolare gioco Fornite. La decisione scaturisce anche dal recente giro di vite di Pechino contro le tech companies, che non ha risparmiato i colossi nazionali come Alibaba. Il controllo rafforzato su contenuti, conservazione e uso dei dati personali e attività online spinge diversi big americani a lasciare il mercato cinese.
Yahoo ha spiegato che i suoi servizi non sono più accessibili dalla mainland China a causa delle “condizioni di business e legali sempre più difficoltose”. L’azienda “conferma l’impegno per i diritti dei suoi utenti e per un internet libero e aperto”.
L’addio alla Cina di Yahoo
Yahoo aveva già fortemente ridotto la sua presenza in Cina negli scorsi anni. Al momento gestiva solo una app per il meteo e alcune pagine web che mostravano articoli di testate estere.
Yahoo aveva fatto il suo ingresso in Cina nel 1998; nel 2012 ha venduto ad Alibaba la quota che deteneva nel gruppo cinese dell’e-commerce e ha ceduto alla stessa Alibaba il diritto di gestire Yahoo China col marchio Yahoo per quattro anni.
Yahoo China ha gradualmente ridotto le sue attività, chiudendo il servizio email e il portale web. Ha mantenuto un centro di ricerca e sviluppo a Pechino fino al 2015, poi ha chiuso anche questo.
Fortnite cede alla stretta sul gaming online
L’uscita di Fortnite dal mercato cinese si lega alla specifica crociata anti-gaming online di Pechino. Il gioco sviluppato da Epic Games chiuderà il sito locale il 15 novembre e già da ora non accetta la registrazione di nuovi account.
“Fortress Night”, la versione locale del gioco, è stato portato in Cina nel 2018 tramite un’alleanza con il gruppo tecnologico cinese Tencent, che possiede il 40% di Epic. Il gioco non era stato lanciato formalmente: continuava ad essere offerto in modalità di test, che ne escludeva diverse funzionalità, tra cui gli acquisti in-app.
“Il genere battle royale è stato fortemente regolato in Cina”, ha spiegato l’analista di Niko Partners, Daniel Ahmad. “I giochi approvati subiscono pesanti modifiche nei contenuti”. I titoli occidentali vengono sottoposti a diversi interventi di censura.
In aggiunta, Pechino ha introdotto quest’anno regole più severe sul gaming, limitando il tempo che i minorenni possono trascorrere sui giochi online a 3 ore alla settimana.
Huawei sotto i colpi della trade war: vicina la vendita dei server x86
Continuano intanto a pesare su Huawei gli effetti delle sanzioni Usa. Il vendor cinese – secondo quanto riporta Bloomberg – è prossimo alla cessione della sua attività nei server x86 dopo essere entrata nella blacklist del dipartimento del Commercio americano, che le rende difficile approvvigionarsi di processori da Intel.
Huawei sta trattando la vendita dell’attività a un consorzio che include almeno un ente del governo federale, oltre ad aziende private.
Le indiscrezioni sulla vendita del ramo server che usa i chip x86 di Intel erano già circolati ad agosto. TechTaiwan aveva scritto che l’acquirente poteva essere un ente governativo cinese parte della Commissione per la supervisione e amministrazione degli asset del Consiglio di Stato.
La produzione di chip di Huawei sarebbe ostacolata dalle sanzioni Usa a tal punto che anche se l’azienda cinese avesse la licenza di usare l’architettura x86 di Intel, non potrebbe comunque produrre i chip perché le occorrono i processi manifatturieri per chip 7nm offerti attualmente solo da Samsung e Tsmc. Huawei continua a fornire i chip Kunpeng 920 disegnati in-house (su architettura Arm) e che vengono usati per l’attività cloud di Huawei.
Se confermata, la vendita dell’attività server x86 dimostrerebbe che Intel non ha più l’autorizzazione a vendere alcun tipo di prodotto o licenza a Huawei.