GREEN ECONOMY

Cop26, il cloud fa impennare i consumi dei data center. Ma le moratorie dei governi non sono la soluzione

Secondo Jay Lee, Manager Consulting di Analysys Mason, bisogna spingere l’adozione di tecnologie di nuova generazione, in particolare sul fronte del raffreddamento, che consentono anche di abbattere i costi di gestione con benefici tangibili per il conto economico e per il posizionamento strategico in chiave di ecosostenibilità

Pubblicato il 22 Nov 2021

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“Le preoccupazioni sull’impatto ambientale dei data center rappresentano un’opportunità per puntare sull’adozione di nuove soluzioni in grado di ridurre il consumo di elettricità e acqua”. A dirlo è Jay Lee, Manager Consulting di Analysys Mason, con un articolo comparso sul portale della società di consulenza strategica.

Il vertice Cop26 ha delineato un quadro netto della situazione globale: occorre intraprendere un’azione drastica per combattere il cambiamento climatico, altrimenti si rischiano danni irreversibili per l’equilibrio biologico sul pianeta. Tra i fattori da prendere in considerazione c’è senz’altro l’enorme sviluppo di Internet e della tecnologia digitale negli ultimi 20 anni, con la conseguente crescita esponenziale della diffusione e dell’uso dei data center, grandi consumatori di elettricità e acqua. “La continua crescita dell’economia digitale e lo sviluppo di nuove tecnologie implicano la necessità di bilanciare la domanda incessante di infrastrutture digitali con la gestione dei problemi di sostenibilità”, nota Lee. “I governi e le autorità di regolamentazione devono assumere un approccio più pragmatico per affrontare questi problemi e vi è un’opportunità significativa per gli innovatori all’interno della catena del valore del data center che possono ridurre l’impatto ambientale”.

Consumi di elettricità e acqua oltre la soglia di guardia

Anche a causa dell’esplosione del cloud computing, i data center sono d’altra parte diventati la spina dorsale dell’economia digitale, e sul fronte dei consumi elettrici hanno ormai un peso sostanziale nei paesi in cui i concentrano i maggiori operatori. In Irlanda per esempio rappresentano attualmente l’11% della domanda totale di energia elettrica, e le previsioni suggeriscono che il dato potrebbe crescere fino al 25% entro il 2030. A Singapore la quota raggiunge il 7%, mentre in Cina nel 2018 i data center hanno consumato più elettricità che in tutta la Malesia.

Poiché le energie rinnovabili non sono ancora ampiamente utilizzate da queste strutture, i crescenti carichi di lavoro It sono destinati ad avere un impronta ambientale sempre maggiore. “Per esempio”, spiega Lee, “secondo uno studio di Greenpeace solo due aziende tecnologiche cinesi su 22 hanno riferito di fare affidamento sull’energia rinnovabile per oltre il 3% del loro fabbisogno”.

Il consumo di acqua dei data center per le operazioni di raffreddamento delle macchine è un altro aspetto spesso trascurato. “Il prelievo di acqua di Google nel 2019 ha raggiunto i 5,1 miliardi di galloni; più del doppio rispetto al 2016. L’aumento dei carichi di lavoro It comporterà un aumento dei requisiti di raffreddamento dei server e può quindi causare un ulteriore aumento del consumo di acqua”.

Le tecnologie a disposizione degli operatori

Alcuni governi, però, stanno cominciando a prendere provvedimenti, imponendo moratorie per fermare la crescita del numero di nuovi data center. “Tuttavia, tali moratorie sono più una risposta temporanea che una soluzione a lungo termine al problema. Sono necessarie misure aggiuntive per garantire la sostenibilità dei data center”, precisa Lee. Misure che, assumendo la prospettiva delle imprese, non vanno viste semplicemente come investimenti da sostenere per diminuire l’impatto ambientale, ma come opportunità per cogliere l’innovazione nell’ambito del raffreddamento dei data center e per ridurre il consumo di elettricità e acqua, con benefici tangibili per il conto economico e per il posizionamento strategico dell’azienda. Alcune di queste tecnologie stanno iniziando a essere impiegate dai principali hyperscaler, molti dei quali hanno stabilito obiettivi “net zero”.

Lee cita diversi gli esempi di applicazione di queste nuove tecnologie, a partire dal raffreddamento evaporativo indiretto. “Il prossimo data center di Meta a Singapore utilizzerà la tecnologia, che può ridurre l’utilizzo di picco dell’acqua di oltre il 20% e può consentire un Pue (Power Usage Effectiveness) di 1.19.

L’immersione diretta dei server in un liquido non conduttivo può consentire Pue ancor più bassi, inferiori a 1,10. Per esempio, Microsoft ha identificato il raffreddamento a immersione come un’iniziativa chiave per supportare i suoi obiettivi di sostenibilità e i suoi test rivelano che può anche aumentare le prestazioni e quindi facilitare i carichi di lavoro più avanzati”.

C’è poi il raffreddamento diretto del chip, basato sul pompaggio di liquido refrigerato su una piastra fredda che abbassa la temperatura del chip del server. “Google ha utilizzato questa tecnologia nei suoi data center dotati dei suoi chip avanzati Tensor Processing Unit (Tpu)”, ricorda Lee, che chiosa: “Gli attori all’interno della catena del valore dei data center che possono offrire tali tecnologie innovative hanno una forte opportunità di guadagnare terreno affrontando le preoccupazioni di sostenibilità sia dei governi che dei principali utenti dei data center. Questi attori includono fornitori di co-location di data center e fornitori di hardware; quelli che dispongono di una tecnologia proprietaria avanzata hanno probabilmente il maggior potenziale per beneficiare di questa opportunità e quindi migliorare la sostenibilità ambientale del settore”.

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