IL DDL

Diffamazione: arriva il “bavaglio” per blog e motori di ricerca

Nel ddl approvato in Commissione Giustizia del Senato spunta un articolo ad hoc. Previsto anche il ricorso al giudice in caso di rifiuto o di omessa cancellazione da parte dei siti. Vincenzo Vita (Pd): “Norma sconcertante e anti-storica”. Bruno Murgia (Pdl): “In pericolo le piccole testate online”

Pubblicato il 23 Ott 2012

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Nel ddl sulla diffamazione a mezzo stampa, approvato dalla commissione Giustizia del Senato, spunta un vero e proprio bavaglio a blog, social network e motori di ricerca. Nel testo licenziato entra infatti un nuovo articolo che contiene “misure a tutela del soggetto diffamato o del soggetto leso nell’onore e nella reputazione” che prevede che la persona offesa possa chiedere “ai siti internet e ai motori di ricerca l’eliminazione dei contenuti diffamatori o dei dati personali”.

L’interessato, prosegue l’articolo, “in caso di rifiuto o di omessa cancellazione dei dati” può chiedere “al giudice di ordinare ai siti internet e ai motori di ricerca la rimozione delle immagini e dei dati ovvero di inibirne la diffusione”. In caso di inottemperanza, oltre alla rimozione del contenuto ritenuto diffamatorio, i soggetti responsabili dei siti internet rischiano anche una multa da 5 mila ai 100 mila euro. L’articolo è entrato con l’approvazione di un emendamento a firma del senatore del Pdl Giuseppe Valentino.

Nel nuovo articolo 3 del ddl sulla diffamazione a mezzo stampa, sulla scia del caso Sallusti, si prevede poi che “in caso di morte dell’interessato” il diritto alla rimozione delle immagini e dei contenuti da tutti i siti internet (compresi quindi i blog) e dai motori di ricerca (uno per tutti Google) può essere esercitato anche “dagli eredi o dal convivente”. Nell’applicare le sanzioni, si legge ancora, il giudice “tiene conto della gravità della violazione e del grado di lesione del diritto alla riservatezza”. Se “il fatto è commesso da una persona esercente una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione, ferme restando le sanzioni amministrative applicabili, il fatto costituisce illecite disciplinare. Di tale violazione il giudice informa l’ordine professionale di appartenenza per i conseguenti provvedimenti disciplinari.

“Gli amministratori di blog e gli utenti dei social network non possono correre il rischio di essere chiamati a rispondere del reato di diffamazione per il materiale pubblicato sulle loro pagine. Il testo licenziato dalla Commissione Giustizia del Senato elimina la detenzione per i giornalisti, ma inasprisce le pene pecuniarie per questo genere di reato. Un risultato molto pericoloso soprattutto per il web e le piccole testate online – commenta Bruno Murgia, deputato del Pdl – Alla Camera ho presentato una proposta di legge contenente la semplice modifica dell’attuale articolo del codice penale. Una riforma necessaria e chiesta a gran voce dai giornalisti e dalle associazioni degli editori. Credo si debba andare in questa direzione, senza caricare di nuove sanzioni penali il nostro ordinamento. Per ovviare a diversi problemi e tutelare l’onore dei diffamati si potrebbe puntare sulla rivalutazione della rettifica – conclude Murgia -, istituto fondamentale e spesso poco utilizzato. In questo momento sarebbe gravissimo punire i blogger e gli utenti di Internet. Norme anacronistiche e, francamente, poco utili. I senatori intenzionati a presentare questo tipo di emendamenti farebbero bene a ripensarci”.

Vincenzo Vita, senatore Pd, considera “ sconcertante, antistorico e contraddittorio con tutti i richiami al digitale, ciò che è passato a maggioranza in commissione Giustizia del Senato in merito alla Rete”. “Si sono messi sullo stesso piano i giornali figli dell’era analogica con quelli pensati e immaginati online – spiega Vita – Non solo: si introducono norme pecuniarie persino superiori a quelle già molto alte previste nei testi originari. Uniche consolazioni, il ritiro dell’emendamento anti-Gabanelli e l’esclusione grazie a una nostra proposta dell’aggiunta della riparazione oltre al risarcimento. Insomma, ha ben ragione l’Fnsi ad esprimere preoccupazioni e contrarietà”.

Secondo il capogruppo Idv in commissione Giustizia al Senato, Luigi Li Gotti l’emendamento a firma Valentino “è di difficile applicazione. Come si fa a far rimuovere i contenuti dalla rete? Nel testo si dice solo che il giudice obbliga i siti internet a farlo. Penso al caso di una emeroteca di un giornale che e’ anche on line. Che facciamo mettiamo una striscia nera sull’articolo per cancellarlo?”.

Ma tra i partiti c’è anche chi difende la norma. Il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri precisa che “per quanto riguarda internet la commissione e’ orientata a intervenire sui siti che hanno una linea editoriale. Quello del web è un problema serio, perché la diffamazione é rintracciabile sempre e comunque con i motori di ricerca ed è sempre disponibile. A me è successo tante volte e mi sono anche rivolto a Google Italia, ma nemmeno loro sanno come muoversi per la rimozione dei contenuti”.

Secondo la presidente dei senatori Pd al Senato, Anna Finocchiaro “la diffamazione ha cambiato volto. Con internet c’è una diffusività potenziale che prima non esisteva. In ballo ci sono il diritto alla dignita’ e all’onore degli esseri umani”.

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