Lo scenario si sta tingendo di una tonalità sempre più realistica: l’Europa potrebbe di fatto presentarsi a ranghi sparsi al tavolo del WCIT-12, il summit di Dubai che in dicembre dovrebbe discutere la revisione degli ITRs (gli accordi mondiali sulle telecomunicazioni).
La scorsa settimana, l’ultimo vertice del Cept a Istanbul ha adombrato più di una faglia negli affannati sforzi per chiudere un accordo unitario tra i paesi del Vecchio Continente. Secondo quanto appreso dal Corriere delle Comunicazioni, dodici stati avrebbero infatti posto una “riserva” sul documento finale adottato dal consesso, che sulla carta dovrebbe fare da canovaccio all’imminente definizione di una posizione unica europea. Le divisioni sarebbero motivate sia da divergenze sui contenuti – quantunque su posizioni antitetiche -, sia da ritardi istituzionali di varia natura e da calcoli politici. Il condizionale è in ogni caso d’obbligo.
Per almeno tre buone ragioni. L’incontro dell’Organizzazione europea di coordinamento sulle telecomunicazioni (che raccoglie 48 paesi) si è tenuto a porte chiuse e le sue conclusioni non sono state divulgate. In secondo luogo, le procedure parecchio laboriose che presiedono ai suoi lavori, nonché i cavilli tecnici dei testi in discussione, aprono diverse incognite interpretative. Terzo: le delegazioni nazionali non possono o non vogliono scoprire tutte le carte. E così l’industria, che segue da vicino gli sviluppi.
L’aspetto più controverso e dibattuto delle negoziazioni in Europa riguarda la posizione Etno per il WCIT, che chiede di affiancare al criterio del best-quality effort “un nuovo ecosistema per l’interconnessione IP che garantisca l’end-to-end Quality of Service” e allargare il fardello dei costi della rete anche ad altri attori della catena di valore, gli Ott ad esempio.
Le prime indiscrezioni filtrate da Istanbul a cavallo dello scorso weekend indicavano che il Cept aveva definitivamente archiviato la prospettiva di inserire le proposte dell’associazione europea delle grandi Telco, o un riferimento ad esse, nella sua posizione unica in vista di Dubai (“European Common Proposals”).
Il verbale dell’incontro, in effetti, “riconosce che le preoccupazione espresse da Etno sono molto rilevanti per il futuro del settore e dovrebbero essere prese in considerazione”. Ma “il Cept è dell’opinione che queste (tematiche) non possano essere affrontate attraverso una modifica degli ITRs”, e quindi l’organismo “non sostiene l’inserimento di alcuna proposta in merito” nella propria posizione. Sembrava insomma che gli stati europei, seppur con diverse sfumature, fossero sul binario giusto per ritrovare il filo della coesione, aggirando le istanze delle grandi Telco e abbracciando la linea “non-interventista” suggerita tra gli altri dalla Commissione europea. Secondo la quale, la governance di Internet deve restare fuori dalla portata degli ITRs.
Invece, la vicenda ha conosciuto un inatteso sviluppo. Solo ieri sono infatti affiorati nuovi dettagli su Istanbul che d’un colpo sembrano affossare ogni velleità di unità. Dodici membri del blocco europeo avrebbero infatti espresso riserve sulle citate conclusioni del Cept.
Da un lato, Russia, Svizzera, Italia, Grecia, Grecia, Francia, Turchia e Polonia hanno deciso di “temporeggiare” perché sono ancora in corso a livello nazionale consultazioni sull’argomento. Più tranchant appare invece la posizione degli altri “dissidenti”: Regno Unito, Svezia, Olanda, Bulgaria e Repubblica Ceca. Il quintetto ha firmato un documento separato nel quale afferma che “la posizione del Cept non vincola i suoi stati membri”. E per tanto tali paesi si “riservano” il diritto di “decidere a livello nazionale” su determinate proposte, senza escludere la possibilità di “andare contro le decisioni dell’organizzazione regionale”. Tra le righe, s’intuisce che essi temono che la posizione unica europea non esprima un parere esplicitamente contrario alle proposte Etno.
Ma, come segnalano alcune fonti, il moltiplicarsi delle divergenze dimostrerebbe soprattutto che la principale preoccupazione di molti stati non verte tanto sulla sostanza della posizione europea, ma piuttosto sui reali margini di manovra che le singole delegazioni nazionali potranno avere nel corso dei negoziati di Dubai. In una parola: molte di esse non vogliono avere le mani legate.
Morale della favola: di fronte ad un quadro sempre più frammentato, si profila il solito compromesso a minima. Il Cept dovrebbe alla fine ripiegare su un documento il più possibile vago e non vincolante, che tutti gli stati membri sarebbero quindi d’accordo per sottoscrivere, salvo essere liberi di negoziare individualmente a Dubai. In tutto questo marasma, l’Unione europea ne esce davvero malconcia. Incapace di esprimere una linea unitaria e gravata da pesanti ritardi.