Si riapre il dibattito sulla net neutrality negli Stati Uniti. Il Presidente Joe Biden è deciso a ribaltare le norme pro-telco volute dal predecessore Donald Trump e tornare alle regole a favore dell’Internet neutrale e aperto approvate dalla Federal communications commission (Fcc) nel 2015 sotto la presidenza di Barack Obama.
La battaglia per tornare alle norme di allora (quando Biden era il vice presidente degli Stati Uniti) si compone di una serie di mosse che includono la proposta della Democratica Jessica Rosenworcel come presidente della Fcc e l’ordine esecutivo sulla concorrenza che invita la Fcc a decidere a favore del ritorno alla neutralità.
La battaglia sulle nomine alla Fcc
Biden ha iniziato la sua scalata al ripristino della net neutrality assumendo Tim Wu, esperto che ha reso “famoso” il termine di net neutrality e che ora si occupa di temi legati a economia e hitech all’interno del National economic council.
Dopo il citato ordine esecutivo sulla concorrenza, il presidente degli Stati Uniti ha designato la commissaria Rosenworcel come guida dell’agenzia (sarebbe la prima volta per una donna) e il Senato ha già confermato la nomina. Tuttavia i Repubblicani resistono alla proposta della nuova commissaria della Fcc Gigi Sohn, che ritengono una figura troppo “di parte”, in quanto ex braccio destro di Tom Wheeler, che era presidente della Fcc quando l’agenzia federale ha votato a favore dell’implementazione della net neutrality. Attualmente il Senato sta valutando se confermare la nomina di Sohn.
I fornitori della banda larga sono come le utility?
Le scelte di Biden rafforzano l’impegno del Presidente a completare il piano per portare la banda ultra-larga a tutti gli americani e ad arginare il controllo di mercato dei grandi internet service provider (Isp), aziende delle Tlc come At&t, Verizon e Comcast. Le norme sulla net neutrality garantiscono che il traffico Internet sia trattato tutto allo stesso modo e non vi siano discriminazioni tra contenuti.
La possibilità per le telco di gestire il traffico Internet è regolata dalla legge sulle comunicazioni del 1934 (Communications Act) nel Titolo II. Durante l’amministrazione Obama la Fcc ha riclassificato gli Isp come fornitori di servizio pubblico, regolati alla pari delle utility e soggette a limiti sulle tariffe per gli utenti finali (la classificazione ha avuto vigore dal 2017). Le telco si sono opposte a questa decisione che, a loro parere, disincentiva gli investimenti in innovazione e favorisce i giganti del web.
Sotto l’amministrazione Trump il nuovo presidente della Fcc, Ajit Pai, ha abrogato la classificazione nel Title II e riportato le telco nella piena libertà di mercato.
Per le telco abolire la net neutrality è stato un bene
Ora torna a infiammarsi il dibattito tra pro e contro, che vede, in grandi linee, Democratici e associazioni dei consumatori schierati per la neutralità della rete e Repubblicani e telco battersi per la deregulation.
La differenza rispetto all’era Obama, osserva la testata americana Cnbc.com, è che nel frattempo c’è stata l’opportunità di testare sul campo l’assenza della net neutrality e, sostengono le telco, nessuno ne è stato danneggiato. Jonathan Spalter, presidente e ceo di USTelecom, associazione che raggruppa molti dei fornitori broadband, tra cui At&t e Verizon, afferma che i fornitori di contenuti online “godono di piena salute e, dopo un anno e mezzo di pandemia da Covid-19, stanno meglio che mai grazie all’uso intensivo e massiccio di streaming, zooming, distance learning, digital transformation, digital health, che sono stati resi possibili dalle migliori e più resistenti rete di telecomunicazione del mondo”.
Il Covid ha cambiato la percezione del servizio broadband
Replicano i paladini della net neutrality: nessuno è stato danneggiato dalla deregulation di Trump perché le telco sapevano che la Fcc sarebbe tornata sui suoi passi e non hanno attuato aumenti dei prezzi. Inoltre, se a livello federale vale l’allentamento delle regole, diversi Stati hanno varato la loro legge sulla neutralità della rete. In particolare, la California, uno dei mercati più grandi all’interno degli Stati Uniti, ha una sua legislazione puntuale e severa, tanto che gli Isp hanno fatto causa allo Stato (il contenzione è ancora in fase di appello; finora il tribunale federale ha dato ragione alla California e sentenziato che le telco non possono esentare dal data cap i loro servizi).
Sicuramente il Covid ha modificato la percezione pubblica del ruolo dell’accesso alla banda larga, percepito davvero come “utility”, un bene di prima necessità e di pubblica utilità come l’acqua e l’elettricità. Ma è anche cambiata la percezione del pubblico e della politica nei confronti delle Big tech come Google e Facebook, non più solo simbolo di innovazione positiva ma di un potere di mercato di diversa forma ma di uguale, se non maggiore peso, di quello delle telco che esige l’attenzione del regolatore.