Finalmente l’Italia ha la sua Agenda digitale. Un vero e proprio vademecum per spingere il rilancio economico del Paese e che ora si gioca la prova dei fatti. Monti e i suoi ministri hanno poco meno di sei mesi per varare i decreti attuativi che metterebbero in marcia i singoli progetti. In questo senso il ministro per lo Sviluppo economico, Corrado Passera, ha assicurato che le norme verranno varate “entro la fine della legislatura”.
Salvo “barricate” al ministero dell’Economia e delle Finanze che dovrà dare l’ok alla copertura finanziaria dei decreti. A quanto risulta al Corriere delle Comunicazioni la Ragioneria dello Stato non ha intenzione di bollinare nessun provvedimento che possa mettere in difficoltà il raggiungimento degli obiettivi del fiscal compact. “Da qui ai prossimi 5 anni – dicono al Corriere delle Comunicazioni da via XX Settembre – il 70% delle entrate dello stato dovrà andare a correggere deficit di bilancio e debito pubblico. L’unica possibilità per l’agenda digitale è trovare risorse con ulteriori provvedimenti di spending review sull’organizzazione della macchina statale”. In altre parole ulteriori tagli al Regioni, Province e Comuni, già strozzati dal patto di stabilità che impedisce loro di realizzare ulteriori investimenti.
Certo si potrà contare in parte sui fondi di Horizon 2020 – 80 miliardi di euro della Commissione europea da destinare a programmi di ricerca e innovazione – ma prima bisogna partecipare ai bandi lanciati da Bruxelles (che non è detto si concludano per la fine della legislatura) e in più quei soldi non si potranno utilizzare per realizzare tutti i progetti dell’Agenda digitale: vanno bene per le smart city ad esempio ma non per la banda larga.
Sulle risorse si concentra la critica di analisti di settore e della politica. Secondo Paolo Colli Franzone, direttore di Netics “il Crescita 2.0 continua a non affrontare il vero nodo della questione che è quello economico. Per L’Agenda digitale italiana (Adi) il governo avrebbe dovuto spingere per sottrarre gli investimenti Ict dai vincoli del patto di stabilità o in alternativa contratti di performance management e di revenue sharing applicati a progetti di digitalizzazione”. La prima “vittima” della mancanza di un piano finanziario efficace potrebbe essere il documento digitale unificato che, stando al dl, si deve realizzare con le risorse disponibili “a legislazione vigente”: si tratta quindi di trovare 60 milioni di euro nel 2013 e 82 a partire del 2014. Ma viste le restrizioni che il Mef intende applicare potrebbe risultare un’impresa ardua.
Anche sul versante start up il nodo risorse si fa più intricato. Mentre, infatti, le semplificazioni di tipo camerale, societario e finanziario sono entrate in vigore il giorno successivo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legge, i benefici fiscali per chi investe nel capitale dovranno aspettare l’ok della Commissione europea alla loro compatibilità con l’ordinamento comunitario che prevede aiuti solo per le imprese con meno di 50 dipendenti. Nel decreto invece non si stabilisce un limite alle aziende che possono beneficiare di questi incentivi. Guido Scorza, avvocato ed esperto di digitale, sottolinea invece l’assenza di uno switch off per la pubblica amministrazione “Il decreto – sottolinea Scorza – appare un interminabile sequenza di disposizioni che differiscono in avanti sull’agenda i termini di entrata in vigore delle norme contenute nel decreto. Inoltre sono troppi i ministeri coinvolti nel varo dei provvedimenti di attuazione del decreto. Tempi troppo lunghi e troppa burocrazia per un decreto che avrebbe dovuto attuare l’agenda digitale italiana”.
E anche Paolo Gentiloni (Pd), primo firmatario insieme ad Antonio Palmieri (Pdl) e Roberto Rao (Udc), della proposta di legge sull’Agenda digitale, evidenzia l’assenza dello switch off come invece stabiliva il testo licenziato dalla Commissione Trasporti della Camera. Nonostante le critiche il governo rassicura. “Non ci saranno ulteriori ritardi”, fanno sapere dalla Cabina regia per l’Agenda digitale. D’altronde i numeri del Politecnico di Milano parlano chiaro: con l’Agenda digitale si potrebbero “incassare” circa 25 miliardi in 3 anni, grazie alle riduzione dei costi e alla in caso di digitalizzazione dei processi della pubblica amministrazione. Benefici economici che l’Italia non può certo farsi scappare.