PUNTO DI VISTA

Agenda digitale, ecco i nodi da sciogliere

Governance frastagliata e assenza di un vero piano industriale rischiano di ostacolare la realizzazione del piano

Pubblicato il 01 Nov 2012

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Non si può dire che non sia stato un parto travagliato. Parliamo di “Crescita 2.0”, il decreto su Agenda Digitale e start-up innovative. Partiamo dal fondo: il giudizio è complessivamente positivo, al netto di qualche problemino “estetico-ortografico” derivante dalla (immaginiamo) successione continua di modifiche, tagli, inserimenti.
Abbiamo un insieme di norme che identificano una serie di priorità e vengono finalmente definite le sanzioni in caso di inadempienza relativamente ai numerosi obblighi assegnati alle amministrazioni pubbliche in tema – ad esempio – di trasmissione telematica di istanze e documenti. Molti degli articoli del decreto sono in grado di generare immediatamente quantità significative di semplificazione e di razionalizzazione della spesa pubblica e/o di risparmio per la finanza pubblica, ed anche questo è un ottimo inizio.


Tutto bene, quindi? Forse no, purtroppo, anche se c’è ancora tempo per eventuali perfezionamenti in sede di conversione in legge da parte del Parlamento.
Qualcosa di quanto si aveva avuto modo di leggere nelle “bozze intermedie” e poi eliminato all’ultimo momento probabilmente dovrebbe essere “riesumato”. Ad esempio la norma sull’armonizzazione “obbligata” dei sistemi amministrativo-contabili delle Asl e delle Aziende Ospedaliere: una “piccola norma” (erano sette-otto righe, non di più) che poteva garantire allo Stato e alle Regioni (“potrà”, se ottimisticamente pensiamo che possa essere recuperata) un controllo in tempi infinitamente più brevi di quelli attuali delle dinamiche di spesa e – piccolo particolare che non sfuggirà al Mef e alla Corte dei Conti – la possibilità di avere bilanci consolidati della Sanità Regionale senza dover aspettare anni come accade adesso.

Più in generale, permane il problema della “diluizione” delle competenze in tema di amministrazione e sanità digitale: leggendo il decreto, ricorrono forse troppo spesso frasi come “sentito i ministri A, B, C, e di concerto con X, Y, Z, acquisito il parere di Tizio e Caio”. Parole che fanno presagire tempi lunghi per arrivare ai numerosi decreti attuativi e piani operativi conseguenti all’adozione del decreto. Non siamo riusciti neppure questa volta a concentrare tutte le competenze in un unico dicastero: qualcuno in grado di scegliersi questo benedetto “Digital Champion”, o “Super Cio”, e dargli ampi poteri operativi. Forse il “Digital Champion” sarà il nuovo Dg dell’Agenzia per l’Italia Digitale. Ma, anche se così fosse, questo signore avrà un Ministro di riferimento e una pletora di Ministri e Autority coi quali mediare ogni provvedimento.


Penultimo aspetto critico: la mancanza di un “piano industriale per l’Italia Digitale”. Ci si aspettava che venisse introdotto in sostituzione delle decine di piani “particolari/settoriali”. Risorse: veniamo all’ultimo problema. A parte qualche, di soldi non si parla. Si continua a non affrontare il vero nodo, che sta nel sostituire la parola “costo” con “saldo”. Perché non dire, ad esempio, una cosetta semplice semplice come “un quinto delle economie generate dall’adozione obbligatoria di piattaforme di e-procurement per l’acquisto di beni e servizi viene trasferito a un fondo straordinario per l’innovazione tecnologica”? Perché non favorire sul regole tecniche ed esempi pratici, contratti di performance management e/o di revenue sharing? Sovente ci si sente dire che “i fornitori non sono adeguati”, ci si lamenta delle multinazionali “ingessate e non proattive”. Ma, diciamocelo: cosa può fare un’impresa se non le si fornisce quantomeno una prospettiva di sviluppo?

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