La fame di chip fa volare i risultati del produttore taiwanese Tsmc: nell’ultimo trimestre del 2021 gli utili del colosso dell’assemblaggio per conto terzi sono aumentati del 16,4% rispetto all’anno precedente raggiungendo i 6 miliardi di dollari. I ricavi sono cresciuti del 24,1% a 15,74 miliardi di dollari.
Il boom della domanda di chip per i device connessi (dagli smartphone agli oggetti IoT, dalle automobili ai dispositivi medici) ha messo in crisi numerosi settori industriali, ma per il contractor Tsmc si traduce in boom di ordini dai clienti (tra cui Apple e Qualcomm). Tanto che l’azienda prevede, per il primo trimestre 2022, ricavi tra 16,6 miliardi e 17,2 miliardi di dollari, contro 12,92 miliardi di un anno prima. Per l’intero 2022 Tsmc si aspetta un tasso di crescita del fatturato di circa il 25%, con possibilità di sfiorare il 30% e margini intorno al 53% o oltre, contro il 50% o più stimato in precedenza.
Produttori di chip in ascesa
L’andamento esplosivo della domanda è una buona notizia per tutta l’industria dei semiconduttori. Tsmc ha detto di aspettarsi un’ulteriore accelerazione grazie a un boom di richieste che ha definito “un trend dell’industria pluriennale “.
Il colosso taiwanese risponderà con un aumento della spesa di capitale, che sarà portata dai 30 miliardi di dollari dell’anno scorso a 40-44 miliardi quest’anno per espandere la capacità produttiva. L’investimento s’inquadra in un programma triennale che prevede un impegno per 100 miliardi di dollari.
La guidance di Tsmc ha impattato positivamente sul titolo di STMicroelectronics, che ha guadagnato il 3% a Piazza Affari.
La produzione è in mano a Taiwan e SudCorea
La crisi dei chip ha evidenziato il forte squilibrio geopolitico della catena di fornitura: la grandissima parte della produzione avviene in Asia orientale. I primi tre produttori mondiali sono Samsung (Sudcorea), Tsmc (Taiwan) e SK Hynix (Sudcorea). La top ten è occupata tutta da aziende dell’Asia orientale, tra cui le cinesi Smic e Foxconn.
Per ovviare alla dipendenza dall’Est asiatico, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden a febbraio 2021 ha firmato un ordine esecutivo con l’obiettivo di riportare negli Usa una produzione di semiconduttori, e a giugno ha messo sul piatto 52 miliardi di dollari nell’ambito della nuova legge “United States Innovation and Competition Act” (Usica). Inoltre con la norma “Chips For America Act” ha inserito la produzione di chip tra le materie di difesa nazionale.
In Europa la presidente della Commissione Ursula van der Leyen ha lanciato la proposta di legge “European Chips Act” che punta a costituire un ecosistema europeo dei semiconduttori in grado di sostenere l’industria continentale.
La crisi dei chip proseguirà per tutto il 2022
Nonostante gli sforzi dei produttori la fame di chip resterà per tutto il 2022, secondo Tsmc. È una stima condivisa con la Bce, che nell’ultimo Bollettino economico ha indicato che le strozzature dal lato dell’offerta “dovrebbero iniziare ad attenuarsi a partire dal secondo trimestre del 2022 e riassorbirsi pienamente” entro il prossimo anno. Tuttavia sia la capacità di produzione di semiconduttori sia la capacità delle navi da carico resteranno “contenute nel 2023”.
Secondo un’analisi di Deloitte nel 2022 le attese per le forniture dei chip si dovrebbero accorciare a 10-20 settimane (a metà 2021 i clienti attendevano tra le 20 e le 52 settimane per ottenere i semiconduttori). Nel 2023 si stima un ritorno all’equilibrio. Ma la domanda continuerà a rimanere superiore alle dinamiche di lungo periodo.
Il traino della crescita: cloud, automotive, e-health, Ai
Secondo Deloitte nel 2021 la pandemia ha provocato un repentino aumento della richiesta di chip, schizzata del 50%; da solo il settore del cloud computing ha accresciuto la domanda del 30% per la costruzione di suoi data center. Altri settori ad alto fabbisogno sono l’automotive, la sanità e i dispositivi dotati di intelligenza artificiale.