L'EDITORIALE

Iliad e la parabola dell’ultima che diventa prima. E gli altri che fine faranno?

Il destino delle telco in Italia (e non solo) è ormai segnato: troppi operatori, troppa competizione e troppi investimenti. Il consolidamento unica via possibile, nel mobile ma anche nel fisso. E il co-investimento sarà l’arma per evitare nuovi disastri, ottimizzando risorse e roadmap

Pubblicato il 08 Feb 2022

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Il quarto operatore mobile destinato a diventare il primo: Iliad si prepara a mettere a segno un’operazione inaspettata dai più, far sparire dal mercato italiano niente meno che Vodafone.

A meno di quattro anni dallo sbarco nel nostro Paese, la società di Xavier Niel guidata da Benedetto Leviche da pochi giorni ha annunciato anche il debutto nella banda ultralarga fissa – dopo aver sparigliato le carte innescando una cruenta guerra dei prezzi, affila le armi per il nuovo colpo di scena: diventare il primo operatore mobile d’Italia. Sì, perché se l’acquisizione di Vodafone Italia andasse in porto – le trattative sono state confermatedall’operazione nascerebbe una compagnia con una marketshare del 36% e revenue vicine ai 6 miliardi. Che Iliad potesse fagocitare una delle tre big telco sul mercato italiano era cosa impensabile fino a pochi mesi fa. Semmai si sarebbe potuta immaginare l’operazione opposta. Oppure un “matrimonio” con una compagnia dotata di asset diversi, ad esempio Fastweb o Tiscali. Quest’ultima è appena finita nel mirino di Linkem, altro astro nascente che nel giro di pochi anni è riuscita a imporsi sul mercato grazie alla tecnologia Fwa, balzata agli onori del mercato e sempre più fondamentale sia nella partita del 5G sia della banda ultralarga fissa.

Insomma, in Italia (e non solo) è scattata l’ora del consolidamento con un trend opposto rispetto a quello che ha caratterizzato gli ultimi anni. L’operazione Iliad è peraltro figlia di un paradosso: la società francese nacque per volontà della Commissione europea che impose a suo tempo la presenza di un quarto operatore mobile nel nostro Paese a seguito del matrimonio fra Wind e Tre facendo leva sui rischi per la concorrenza e i timori per i rincari tariffari. Mai decisione dell’Europa fu così scriteriata a giudicare dal disastro che si è consumato nell’arco di pochi anni: prezzi in picchiata, margini ai minimi storici, operatori affaticati da una competizione oramai ingestibile ma al contempo chiamati a investimenti in continuo rialzo il nome della digitalizzazione e dello sviluppo dell’economia. E la pandemia ci ha messo il carico da novanta con il traffico dati e voce balzato a livelli record e una fame di connettività come non si era mai vista.

C’è già chi sostiene che l’Europa potrebbe avere da ridire sulla nuova operazione, ma ci si chiede a questo punto: con quale oggettiva motivazione (per non dire con quale faccia)? Certo gli ostacoli non mancheranno: che fine farà l’accordo di network sharing siglato fra Vodafone e Tim per le reti mobili? E come reagiranno Tim e WindTre all’operazione e più in generale gli altri competitor? Nel frattempo si sono mossi in sindacati: “Non comprendiamo se le decisioni che riguardano realtà produttive italiane, che interessano migliaia di lavoratori, vengano prese oltre confine, a totale insaputa del management italiano, oppure se le direzioni aziendali ritengano che queste operazioni non siano meritevoli di approfondimento: in entrambi i casi si prospetta un quadro nebuloso sul quale, con forza, chiediamo di fare chiarezza”, scrivono in una nota congiunta Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil che peraltro hanno in programma un nuovo incontro relativo alla partita Tim il 10 febbraio.

Tim ha parecchie gatte da pelare: è attesa per il 2 marzo la presentazione del piano industriale del nuovo Ad Pietro Labriola, piano che prevede un riassetto della società attraverso la creazione di due entità separate, una in cui convoglieranno gli asset di rete e l’altra focalizzata sui servizi. Un riassetto necessario dopo tre profit warning nell’arco di pochi mesi a causa di conti non in linea né con le stime né con le potenzialità di una delle maggiori aziende d’Italia. Un riassetto che dovrebbe essere preliminare ad una seconda puntata: quella della fusione con Open Fiber, operazione di cui si discute da tempo, ma il condizionale resta d’obbligo considerate le lungaggini italiane e il rischio che dal win-win si passi al lose-lose.

PS. A proposito di Open Fiber: è la rete Ftth della società guidata da Mario Rossetti che ha consentito il debutto di Iliad nel mercato del fisso. Un accordo è stato siglato anche con la Fibercop di Tim, ma si partirà in un secondo momento.

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