VERSO IL WCIT DI DUBAI

L’Europa si spacca sul destino del Web

Ognun per sé o quasi sulla revisione dei trattati ITRs. E Neelie Kroes “appoggia” la linea Usa

Pubblicato il 12 Nov 2012

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Il calcio d’inizio della Conferenza mondiale sulle Tlc – il Wcit12 – è in programma tra meno di un mese. Dal 3 al 14 dicembre i 193 stati membri dell’Itu si daranno appuntamento all’ombra dei grattacieli di Dubai con l’obiettivo di aggiornare la lettera – e forse anche lo spirito – dei Trattati internazionali in materia di Tlc (gli ITRs).

Sulla carta, l’ultimo tempo della partita negoziale dovrebbe giocarsi in prevalenza tra grandi potenze, come Usa e Cina, e una manciata di raggruppamenti regionali (paesi arabi, africani, etc.). Di questi, però, potrebbe non far parte l’Europa. La Ue si prepara infatti ad atterrare negli Emirati Arabi a ranghi sciolti: senza cioè una posizione ufficiale da difendere. O nella migliore delle ipotesi aggrappandosi ad un’unità di facciata che non impedirà alle sue diverse anime di trattare a titolo individuale. Insomma: ognun per sè o quasi. Non che in questi mesi gli stati europei non abbiano affrontato febbrili contrattazioni per partorire un compromesso. Ma a conti fatti piccoli egoismi nazionali, inciampi procedurali e ritardi istituzionali di varia natura, ben più che incolmabili divergenze sui contenuti, hanno offuscato quasi tutte le speranze di coesione.

Le due piazze istituzionali sulle quali s’intrecciano i fili delle trattative restano il Consiglio Ue da un lato, e dall’altro il Cept – l’organismo europeo per le Tlc che raccoglie 48 tra paesi comunitari e non. Il primo, forse perché indaffarato con dossier più impellenti come l’unione bancaria e il bilancio 2014-2020, non ha sino ad oggi mostrato particolare interesse nel riunire i 27 attorno ad una mozione unitaria. E questo nonostante la Commissione europea gli avesse fatto recapitare a cavallo dell’estate una bozza di accordo sul quale intavolare con sufficiente anticipo le discussioni intergovernative, nell’auspicio nemmeno tanto dissimulato di incassare come contropartita l’investitura, almeno parziale, a rappresentare l’Europa a Dubai. Il testo dell’Esecutivo comunitario opta per un registro tutto sommato conciliante, guardandosi bene dall’impelagarsi in dettagli potenzialmente controversi. Eppure delinea al contempo una strategia negoziale molto eloquente precisando che “la Ue oppone ogni decisione mirante ad estendere il mandato degli accordi ITRs”. Che poi è una maniera diplomatica per dire che Internet dovrà rimanere fuori dalla portata dei trattati.

Il futuro della Rete, com’è noto, è al cuore delle tenzoni più roventi sugli esiti del vertice di Dubai. Non è un segreto che un’agguerrita pattuglia di paesi non occidentali, nel cui novero si dimena il fior fiore dei regimi illiberali di mezzo mondo, vorrebbe trascinare Internet dentro l’orizzonte d’applicazione degli ITRs, assegnando all’Itu nuovi poteri in fatto di cybersicurezza, spam, definizione degli standard tecnici. Le proposte di questa frangia in essenza prefigurano una trasformazione non minore: l’assetto di governance della Rete, al momento diluito su più organismi pubblici e privati e guidato da una fitta ragnatela di accordi commerciali, verrebbe per la prima volta ricondotto, e parzialmente centralizzato, sotto un regime regolamentare internazionale (l’ultima versione dei trattati risale al 1988).

Per i critici la mossa equivarrebbe a servire sul piatto d’argento a molti paesi un luminoso pretesto per rafforzare censura e controllo sul web con il benestare dell’Onu. Gli Usa, in particolare, hanno ingaggiato una massiccia campagna di lobbying per sventare questa prospettiva. Tant’è vero che sbarcheranno a Dubai con un reggimento di 130 delegati. A grandi linee, e salvo spaiate defezioni, il fronte europeo appare in ogni caso allineato con la filosofia di Washington, come emerso nel corso delle ultime riunioni del Cept.

L’organismo tematico regionale, assurto a ultima spiaggia per un’insperata unità tra i paesi Ue, ha sancito di recente che l’Itu non è il forum appropriato per mettere mano al quadro di comando di Internet. E fin qui tutto bene. Sennonché sul piatto c’è un altro lotto di proposte che continua a fomentare tensioni nel Vecchio Continente. Quelle messe in pista da Etno. Il documento presentato dall’organizzazione che rappresenta le principali telco europee solleva sì un nodo largamente riconosciuto da tutte le parti in causa, la necessità di “creare un nuovo modello, sostenibile, per Internet” al cospetto di un boom incontrollato di accessi e traffico dati. Ma le soluzioni avanzate non convincono, alla peggio suscitano vive rimostranze e non più tardi di tre settimane fa sono state finanche sconfessate con parole esplicite dal Commissario all’Agenda Digitale Neelie Kroes. Il motivo? Anch’esse, quantunque su tutt’altre basi, chiedono di correggere la traiettoria di funzionamento della Rete. Affiancando al criterio del best-quality effort “un nuovo ecosistema per l’interconnessione IP che garantisca l’end-to-end quality of service” o allargando il fardello dei costi delle reti anche ad altri attori della catena di valore, gli Ott ad esempio.

L’ultimo strappo tra gli stati europei, non a caso, si è consumato proprio sulla posizione Etno (e su una serie di punti minori). Nell’ultimo vertice del Cept di Instanbul (15-18 ottobre), 12 delegazioni sulle 20 presenti hanno espresso riserve sul documento finale che scartava in via definitiva le richieste dei grandi operatori dalla bozza di posizione unica europea per Dubai. Sembra tuttavia che gli attriti siano motivati da ritardi e tatticismi, più che dalla sostanza del testo. Tra i dissidenti di Istanbul, Russia, Svizzera, Italia, Grecia, Francia, Turchia e Polonia hanno in verità solo rinviato il proprio responso, non avendo ancora maturato una posizione ufficiale sulla posizione Etno (consultazioni a livello nazionale sono ancora in corso).

Sull’altra sponda, Regno Unito, Svezia, Olanda, Bulgaria e Repubblica Ceca si sono “dissociate” perché temono che il testo finale del Cept non esprima un parere sufficientemente esplicito contro le proposte di Telecom Italia, Deutsche Telecom e compagni. Proposte il cui destino, almeno in Europa, appare segnato, sebbene non cessino di raccogliere adesione in altre aree del pianeta. Molto più prosaicamente, secondo fonti ben informate, diversi paesi europei starebbero tentando di sabotare i negoziati per arrivare a Dubai “con le mani libere”. E visto che il tempo incalza potrebbero riuscirci. Per salvare la faccia, il Cept dovrebbe alla fine optare per un documento che si limiti a ricalcare i toni fumosi della bozza della Commissione. Una sorta di compromesso al ribasso che sarebbe sottoscritto da tutti gli stati membri, ma non li vincolerebbe. Epilogo molto amaro per l’Unione europea, che mancherebbe l’ennesima occasione di mostrarsi unita al cospetto delle sue controparti internazionali.

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