Si continuano a sentire grandi sciocchezze sul commercio elettronico, anche nei dintorni dell’Agenda digitale, di smart cities e zone limitrofe. Sono andato a riguardarmi i dati del 2011 secondo il pregevole rapporto di Casaleggio e associati (http://www.casaleggio.it/pubblicazioni/focus/ecommerce-in-italia-2012.php). È vero che nel 2011 il commercio elettronico ha toccato in Italia i 18 miliardi di valore, con un solido incremento sull’anno precedente (32%, però meno forte dei due anni precedenti); tuttavia è presto per cantare vittoria.
Intanto, è bene sapere che il gioco d’azzardo, da solo, ne costituisce il 51,8% e si tratta indubbiamente di un commercio molto particolare. La seconda voce, “Turismo” (24,8%), riguarda evidentemente prenotazioni alberghiere, aeree e ferroviarie, ciò il settore che più massicciamente è virato dalle agenzie di viaggio reali a quelle virtuali e che ti permette di programmare tutto il tuo viaggio senza uscire di casa.
Poi c’è il settore molto importante delle assicurazioni, in cui la strategia comparativa dei consumatori ha portato a consistenti abbassamenti di tariffe (5,90%). L’effettivo acquisto di beni di consumo (elettronica, food and beverage, moda, arredamento, libri e giornali ecc.) vale meno del 20%, diciamo 3,5 miliardi a voler essere generosi. Non è molto.
In presenza di una crisi così forte, che si abbatte sui consumi in maniera vessatoria (negozi chiusi e falliti, supermercati senza code, carrelli semivuoti o riempiti di oggetti in offerta), occorre chiedersi se, e in quale misura, il commercio elettronico possa considerarsi un dispositivo anticiclico.
Potrebbe darsi che la scelta di operare tramite l’e-commerce fosse motivata dalla possibilità di ponderare gli acquisti, valutando tutte le possibilità (anche grazie agli appositi siti che paragonano le varie proposte, come Virgilio shopping o Kelkoo) e quindi costituisse una strategia di salvaguardia dalla diminuzione del potere di acquisto. Ma è difficile stabilirlo con certezza, in presenza di consumi spesso di nicchia alta. È presumibile pertanto una selezione darwiniana degli operatori meno specializzati, più grossolani (ce ne sono diversi) e meno internazionalizzati, che non sanno vedere oltre i tetti del loro paesello.
Aumento della connettività, reti di nuova comunicazione, smart cities potrebbero fare molto: ma senza facili entusiasmi e con molta concretezza.