Il Green Pass viola il Gdpr e scardina qualsiasi regola a livello nazionale e internazionale configurando una situazione al limite del collasso strutturale: questa, in sintesi, la posizione messa nero su bianco da un pool di 25 avvocati in un esposto presentato al Garante Privacy inviato il 14 febbraio. E già il 16 febbraio si sono aggiunti altri tre colleghi (SCARICA QUI IL DOCUMENTO).
A firmare la segnalazione anche giuristi noti nel campo della data protection, operativi in grand studi legali, nonché docenti ed esperti della materia. Ed è già partita una sorta di “call-to-action” sui social in cui si invitano altri colleghi ad aderire all’iniziativa. “Non crediamo possa essere tollerato oltre dal sistema giuridico – senza cioè un collasso strutturale – che un trattamento di dati personali sia spinto fino a questo punto di violazione normativa e di lucido perseguimento di obiettivi di castigo, oppressione economica e mentale, umiliazione”, scrive in un post su Linkedin l’avvocato Enrico Pelino, fra i firmatari dell’esposto.
E sempre su Linkedin l’avvocato Andrea Lisi, altro firmatario dell’esposto, evidenzia che “il Green Pass dovrebbe essere uno strumento (europeo) utilizzabile per favorire la libera circolazione negli e tra gli Stati membri, ma viene imposto nel nostro Paese come una presunta misura di garanzia che si baserebbe nei suoi presupposti sulla difesa della salute pubblica, ma così come è strutturato finisce per violare palesemente l’art. 32 della Costituzione (oltre che i principi basilari del Gdpr), operando peraltro goffamente un bilanciamento tra diritti fondamentali previsti dalla Costituzione (e la limitazione di un diritto fondamentale quale il diritto al lavoro è incredibile per uno Stato come il nostro fondato su di esso)”.
Durissima la posizione espressa nel documento: “Abbiamo cioè la percezione che si stia agendo in completa illegalità”, si legge. Ed è lunga la lista delle contestazioni: “L’art. 35 del Gdpr impone che la Dpia sia effettuata “prima di procedere al trattamento”, che abbia requisiti netti, pesati fino alla frazione di grammo, che approdi, com’è ovvio nella situazione attuale, alla consultazione preventiva (art. 36 Gdpr), che sia ripetuta o aggiornata a ogni cambiamento, specie se più afflittivo. Siamo in attesa di esaminare la Dpia che avrebbe dovuto essere alla base, per esempio, del DL 172/2021 o del DL 229/2021 o del DL 1/2022 o del DL 5/2022. La verità è che sono saltate tutte le regole. Quelle degli artt. 5, 6, 9, 25, 35, 36 GDPR, degli artt. 8 e 52 Cdfue, del divieto di discriminazione contenuto al cons. 36 Reg. (Ue) 2021/953 e ribadito più volte nel parere congiunto Edps-Gepd n. 4/2021. Basterebbe la contrarietà con una sola di queste norme a dichiarare immediatamente illecito il trattamento”.
I 25 giuristi si appellano al Garante Privacy affinché “ripristini lo stato di legalità conformemente al proprio mandato istituzionale, dichiarando illecito, nella sua declinazione italiana, il trattamento di dati personali “certificazione verde” introdotto con DL 52/2021 e successivi atti normativi, e per l’effetto ne disponga la limitazione definitiva e il divieto in applicazione dell’art. 58, par. 2, lett. f) Gdpr, ponendo in tal modo fine al più vessatorio, distopico e distorsivo esperimento sui dati personali finora attuato dall’istituzione della Repubblica”.